Il Genoa perde il derby della lanterna, la stracittadina di Genova, ed è condannato dall’acerrima rivale della Sampdoria ad una quasi sicura retrocessione.
1. IL DERBY DELLA BEFFA
Probabilmente il Genoa andrà in B, nel modo più amaro possibile, ossia perdendo un derby salvezza contro la Sampdoria. Sconfitta beffarda per 1-0. Nessuno poteva immaginarlo. Gli eterni rivali blucerchiati, superiori nelle individualità, arrivavano da una crisi nera; una crisi di gioco e di convinzione. Coach Giampaolo sembrava ormai il prete chiamato a procedere con l’estrema unzione.
Nessuno poteva immaginare nemmeno il finale drammatico: Criscito, eterno capitano rossoblu, che sbaglia il rigore dell’1-1 durante i minuti di recupero. E sarebbe bastato anche un punto alla compagine genoana per cullare ancora speranze di salvezza.
2. CHI E’ ALEXANDER BLESSIN?
Se però c’è stato un ultimo ballo, un ultimo ribollire di contrastanti emozioni per un gioco così banale e allo stesso tempo globale, la gradinata rossoblu del Grifone lo deve al signore in foto: Alexander Blessin.
Il quale, pur non senza qualche defaillance, ha rianimato con il defibrillatore un ambiente morto e un’armata Brancaleone. Tecnico tedesco, giovanissimo per gli standard del calcio italiano, scuola Redbull. Kloppiano convinto.
Per vincere nel calcio professionistico bisogna portare ai massimi livelli la poesia e l’agonismo del calcio dilettantistico. Questa potrebbe intendersi come sua massima. Furore agonistico, caos organizzato… mai mollare.
3. BLESSIN, EROE ROMANTICO
Blessin ha creato in pochissimi mesi un ambiente da salvezza lì dove ormai c’era solo mesta rassegnazione alla retrocessione.
E dopo non aver centrato l’obiettivo, che sull’onda di un entusiasmo contagioso pareva ormai alla portata, Alexander rimane in tribuna con moglie e figlia, come uno di noi, a ragionare sui perché della sconfitta, sugli errori di un obiettivo difficilissimo e sfumato sul più bello nonostante ci credessero tutti a dispetto dei risultati conseguiti di giornata in giornata.
Rimane sugli spalti di Marassi a prendersi la brezza marina addosso, la tristezza dei marinai intorno e a condividere con loro la mulattiera del mare verso nuovi e futuri orizzonti. Tutti possibili e realizzabili con la nuova proprietà, quantomeno stabile dopo i disastri pluriennali di Preziosi.
4. BLESSIN E L’ITALIA
Se dovesse rimanere alla guida del Genoa anche in B, sembrerebbe proprio che il calcio italiano abbia acquisito un nuovo (positivo) personaggio, al quale ha regalato lo stesso football tricolore l’amore per questo gioco.
1989, Neckarstadion di Stoccarda. Stoccarda – Napoli 3-3. Sulle tribune tinte d’azzurro emigrante e orgoglioso si canta: porompompero-però-porompompò. Blessin è lì con loro, con i partenopei, guarda attonito l’amore per questo sport e il suo nunzio vincere la Coppa Uefa. Canta gli stessi Cori vesuviani e decide di diventare un mister per gioco e per passione.
Infine la vita, maliziosa, sembra avergli regalato consacrazione proprio in un’altra città di mare, Genova, fino a poco tempo fa gemellata con quella Napoli che, quando conviene, sussume l’Italia tutta. Blessin-Genoa è una storia che gradiremmo continuasse ad esistere anche in serie B, grazie!
A margine del ritiro della Scarpa D’oro, Ciro Immobile si è raccontato ai microfoni di Marca e ha parlato anche di Zeman.
“È stato bello aspettare il trofeo Scarpa D’Oro, la cosa più importante è che l’ho presa. Dopo un romanista non potevo mancare io. Toni e Totti erano giocatori straordinari e campioni del mondo. Sono orgoglioso di seguire le loro orme e vedere il mio nome tra tutti i grandi calciatori che hanno vinto prima di me. Questa Scarpa d’Oro è una sorta di vendetta, ma non contro qualcuno personalmente. Nel calcio ognuno ha il suo momento e la scorsa stagione è stato il mio”.
IMMOBILE, LA PANDEMIA E GLI INIZI ALLA JUVE
“Ho scoperto la passione per la cucina e per il giardino. Poi ballo con mia moglie e i miei figli. Questo mi ha fatto andare avanti. La Juve a 17 anni? É stato un cambiamento difficile per me tra due realtà completamente diverse. A quel tempo ero giovane e pieno di sogni per arrivare in Serie A. Per farlo devi sacrificarti tanto e avere un amore assoluto per il calcio. Ho lavorato duramente per arrivare a questa Scarpa d’Oro. So che molti giovani hanno questi sogni e stanno attraversando un momento difficile in questo periodo di pandemia. Ma voglio incoraggiarli: stringete i denti, non mollate, perché tutti abbiamo l’opportunità di realizzare i nostri sogni professionali. Mia madre venne a Torino per farmi tornare a casa, era il giorno del mio compleanno. Mi disse: ‘Sbrigati e torna, che ci fai qui?’ Fortunatamente, per una volta, non ho ascoltato mia madre”.
LAZIO E NAZIONALE
“A Roma siamo felici, la mia famiglia adora la città. Insieme alla società e all’allenatore Inzaghi stiamo costruendo insieme un progetto che ci ha portato tanti successi. E vogliamo lavorare per altre gioie. È stato difficile prendere l’eredità di Klose alla Lazio. La stessa situazione mi è capitata al Borussia Dortmund dopo l’addio di Lewandowski.”
KLOPP E TUCHEL
Non mi piacciono i confronti. All’estero ho comunque imparato molto anche se, a livello sportivo, le cose non sono andate in modo ottimale. Klopp è stato impressionante, si distingue per il suo spirito combattivo. Tuchel mi è sembrato un tipo meticoloso, un allenatore all’italiana”.
ZEMAN
“Zeman era un tecnico da “attacco, attacco e attacco”. Questo mi ha regalato il primo titolo da capocannoniere in Serie B nel 2012 con il Pescara. In quella squadra c’erano anche Insigne e Verratti. La Nazionale? Non andare al Mondiale 2018 la più grande delusione della mia carriera. Ma come spesso accade, abbiamo imparato molto da questo. Con Mancini ora stiamo facendo un risultato fantastico e i risultati parlano chiaro. Si sente che i tifosi sono di nuovo entusiasti dell’Italia”
L’ex centrocampista del Napoli Pazienza, ha parlato del suo Napoli e di quello attuale, di Insigne e Zeman al programma “Il Sogno Nel Cuore”.
“Il mio Napoli – dice Pazienza – veniva da un momento diverso rispetto al Napoli attuale. Anche un pareggio, come quello ottenuto al Meazza in San Siro nel 2011, era qualcosa di meraviglioso visto che venivamo dalle ceneri del fallimento, dalla Serie C e dalla Serie B.
SPIRITO DEL GRUPPO
Quel gruppo, però, aveva uno spirito che ha aiutato tantissimo la società a crescere sempre di più, fino ad arrivare ai livelli attuali. Nello spogliatoio attuale si intravede uno spirito molto diverso da quello che avevamo noi. Nel calcio moderno – afferma Pazienza – si formano squadre dove si scontrano culture, lingue ed abitudini diverse”
COESIONE
“Per mantenere coesi questi gruppi c’è bisogno di calciatori che facciano da collante. Probabilmente, al Napoli di oggi mancano proprio queste figure, che sono importantissime all’interno di uno spogliatoio. Servono innesti di figure di riferimento, che siano trainanti per il resto del gruppo. E nel mio Napoli c’erano diverse figure di questa caratura.”
INSIGNE E ZEMAN
“L’ho vissuto da giovanissimo, e già si vedevano delle qualità tecniche importanti, anche se non mi aspettavo riuscisse a fare questo tipo di carriera a causa del suo fisico. Ma lui è stato bravo andando a giocare in prestito dove c’era Zeman che lo ha aiutato a migliorarsi e specializzarsi nel suo ruolo.”
BAKAYOKO
“Non credo si sia involuto, ma c’è un evidente calo di tutta la squadra. Lui ha un nome importante, così come lo stipendio, e, di conseguenza, viene preso maggiormente di mira dalle critiche quando fa male. Sulle sue prestazioni può pesare anche il fatto che sia in prestito secco, soprattutto nel finale di stagione, in un momento come questo dove non si riesce a dare una svolta ai risultati sul campo. In maniera involontaria potrebbe essersi lasciato un po’ andare, sapendo di non fare parte del progetto futuro del Napoli”.
Antonio Nocerino si è concesso ad una lunga video intervista sul canale Twitch di Nicolò Schira. Ha parlato del suo passato tra cui l’esperienza con Zdenek Zeman.
“Ho finito il corso per il patentino da allenatore – dice Nocerino – poi dovrò fare gli esami e conseguire ufficialmente il titolo per allenare. Ho vissuto un bel percorso, la nostra scuola è importante, fatta di dettagli e cose che da giocatore non si notano, mentre in questo nuovo percorso vengono viste in modo totalmente diversa. Mi affascina l’idea di allenare e credo che questa sia la strada giusta per il mio futuro. Il ruolo di centrocampista aiuta ad allenare. Devi essere veloce di pensiero, controllare tutto, studiare i movimenti dei compagni e fare da collante tra difesa e attacco. Inizialmente ero curioso riguardo a questo ruolo da allenatore, poi mi è salita pian piano la voglia e ho deciso di fare il corso a Coverciano.”
BENEVENTO
La convinzione definitiva mi è venuta nella mia esperienza a Benevento, aiutando i più giovani. Vedevo che il mio modo di parlare era diverso rispetto a quello che ero prima, e ho iniziato a fare i corsi. Ho anche iniziato ad allenare ad Orlando, provando l’esperienza della panchina, e ora non mi immagino un futuro diverso dalla panchina. Divoro partite su partite a tutte le ore, e senza calcio non so stare: sono capitato in un momento storico in cui non ci si può muovere e vedere partite dal vivo, allora le guardo da casa con un occhio diverso, quello da tecnico. Prendo appunti, studio e mi informo: credo che questi passi siano fondamentali, in ogni ruolo o ambiente”.
ALLENATORI
“Da tre/quattro anni osservo Nagelsmann e le sue squadre. In Italia seguo tutti, ma guardo con piacere alla ventata d’aria nuova portata da De Zerbi, oltre a Gasperini, Juric, Simone Inzaghi che reputo un grandissima. Amo Bielsa, che ha un modo di trasmettere le idee in maniera impressionante. Oltre ovviamente a big come Guardiola e Klopp. Agli allenatori che ho avuto ruberei la lealtà: bisogna essere sinceri, limpidi, senza crearsi maschere o fingere qualcosa. La tecnica, la tattica, la strategia si migliorano, la personalità rimane per sempre. Ho avuto grandi allenatori, ho imparato qualcosa da tutti, ma la prima cosa che voglio ottenere è il rispetto e l’apprezzamento dei giocatori per l’uomo Nocerino. Senza stima, non si può trasmettere la propria idea calcistica al giocatore”.
ZEMAN E AVELLINO
“Zeman mi lanciò titolare a 18 anni, in Serie B. Mi aveva visto in un torneo estivo, che non avrei dovuto fare perchè dovevo sostenere gli esami per il diploma di maturità: sono riuscito a giocare e studiare, mi sono diplomato e dall’altro lato Zeman mi vide e mi disse che mi voleva nel suo Avellino. Mi ha insegnato tantissimo, è un allenatore che ti spiega, ti insegna, ti forma come giocatore e come uomo ed è fondamentale per la crescita dei giovani. La preparazione fisica di Zeman è mostruosa ed estenuante: i 45km di fartlek che facevi alla ripresa, i gradoni, i mille ripetuti undici volte in sequenza… Però in partita, dico per me, avrei potuto giocare due partite in un giorno senza sentire la fatica. Con l’allenamento ti abituavi all’intensità della partita, e in campo potevi fare di tutto: come ti alleni, così giochi”.
GASPERINI
“Gasp era già così quando mi allenò, è identico ai suoi inizi. Gli allenamenti sono gli stessi, l’intensità è la stessa e ti prepara alla partita. A mio avviso, l’Atalanta è la squadra più “europea” che abbiamo. Fisicamente regge contro tutti e rispecchia l’idea di calcio di un allenatore che in allenamento ti massacra, ma poi ti fa rendere al massimo in partita. Spero che possano rimontare contro il Real Madrid, per il calcio italiano e per l’Atalanta che ha una convinzione nei suoi mezzi incredibile. Non sarà facile per i blancos, e speriamo che possano togliersi grandi soddisfazioni”.
JUVE OUT IN CHAMPIONS
“Quando è stata sorteggiata col Porto, tutti hanno pensato che fosse un avversario “morbido”, ma così non è andata. Il primo tempo dell’andata è stato tutto tranne che all’altezza, poi è arrivato il gol di Chiesa e nel ritorno ci si aspettava la rimonta della Juventus. Ieri la Juventus non ha iniziato bene, e poi ha giocato oltre sessanta minuti in dieci contando anche i supplementari. Vedendo la qualità e la forza delle due squadre, e per di più in 11 vs 10, non mi sarei mai aspettato che la Juve potesse uscire.
CONTRACCOLPO JUVE
Sarà una bella batosta, inaspettata per di più. Tutti i match di Champions sono difficili, però quando vuoi vincere la coppa non ti puoi permettere passi falsi ed errori come quelli che ha fatto la Juventus, è una bella botta. Avevano pescato una seconde più “abbordabili” della Champions. Il Porto ha fatto la partita che doveva fare, sia all’andata che al ritorno, preparando il match al meglio. Ripartivano bene, Corona ha fatto un match incredibile e Pepe a 38 anni ha dato lezioni di difesa. Sono stati perfetti e hanno sfruttato le loro qualità, reggendo nonostante l’inferiorità numerica e passando con merito”.
IL GIOVANE NOCERINO
“Ho sempre giocato da centrocampista, magari giocando a volte trequartista o davanti alla difesa, ma sempre in mezzo. Chi mi ha cambiato la carriera è stato Iachini a Piacenza, mi mise mezzala e da lì è partita la mia reale carriera: ho segnato sei gol in Serie B e sono esploso. I miei idoli, da ragazzo, erano Redondo, Albertini e Guardiola.
All’inizio giocavo a calcio per divertirmi, perchè mio padre allenava in una scuola calcio e potevamo passare del tempo assieme, poi mi sono appassionato. Giocavo dalla mattina alla sera, e ho dovuto fare il triplo/quadruplo della fatica perchè sono cresciuto in una zona difficile. La famiglia mi ha dato grande forza, e da lì ho iniziato a fare dei provini: la prima volta che mi hanno notato, erano venuti per vedere un altro giocatore, invece hanno visto me e ho iniziato a fare tutti i vari provini per entrare nei grandi club.
Mio padre si alzava di notte per accompagnarmi e collezionavamo “Vi faremo sapere”, allora dissi a mio padre di lasciar stare, il classico “Se mi vogliono, mi vengono a prendere”. Poco dopo successe la cosa della Juventus, e da lì iniziò un altro percorso perchè la concorrenza era impressionante e per di più venivo da un’altra città e un’altra zona: l’inserimento è stato difficile, ma non mi sono mai abbattuto neppure nei momenti più difficili.
Dicevo a mia mamma che andava tutto bene, poi piangevo non appena attaccavo il telefono, perchè mi mancava la mia famiglia: sentivo di avere un’opportunità enorme e volevo sfruttarla. Pian piano ho iniziato a scalare le gerarchie, fino ad arrivare a quel fatidico torneo in cui mi notò Zeman e mi cambiò la vita. I miei genitori mi hanno dato grandi valori: mi avrebbero fatto andare alla Juventus solo se avessi preso il diploma. Ho avuto una famiglia unita, semplice, umile e con dei principi chiari e saldi nella testa. Ho accontentato mia mamma e ho ripagato i sacrifici di mio padre raggiungendo grandi traguardi”.
IL DEBUTTO IN A
“12 febbraio 2006, a Marassi, Sampdoria-Messina. Sono cresciuto in un posto difficile, e il mio sogno era quello di giocare a calcio e sbarcare un giorno in Serie A. Ci sono arrivato facendo enormi sacrifici, vista la concorrenza dell’epoca, ma ricordo ancora quel match in cui debuttai in Serie A. Negli anni seguenti ho segnato la Nazionale e la Champions, e sono arrivato a giocare entrambe. Ogni anno mi mettevo uno step in più da raggiungere per crescere anche caratterialmente, e posso dirmi molto soddisfatto”.
IL PIACENZA E IACHINI
“Ho vissuto la Serie B con Juventus, Napoli e Genoa. Il mio Piacenza, con Cacia, Campagnaro e Nainggolan, arrivò 4°. Avevo cambiato spesso squadra prima di andare lì, e quell’anno decisi di andare a Piacenza perchè volevo continuità. Iachini mi trovò il ruolo, la posizione e trovammo subito una grande affinità: da lì in poi cercavo sempre continuità a livello calcistico, per giocare e mostrare di meritare ciò che avevo ottenuto e che meritavo di mettermi in mostra. Anche facendo un passo indietro per farne due avanti. L’anno dopo sono andato in Serie A grazie a Iachini, che mi ha dato una conoscenza del ruolo totalmente diversa da quella che avevo in precedenza. Sono tornato alla Juventus da protagonista, giocando 32 partite da protagonista formando un grande tandem con Cristiano Zanetti”.
NOCERINO E RANIERI
“In estate ero sul mercato, volevo continuità di gioco e mi cercarono Fiorentina e Napoli. Non volevo tornare ad avere uno scarso impiego o girare l’Italia in prestito. La Juventus e Ranieri mi tolsero dal mercato: il mister, in ritiro, fu di parola e mi disse che facevo parte del progetto, anche se erano stato acquistati grandi giocatori investendo tanti. Una grande persona, che mi disse “Se meriti, giochi”: a quel punto mi ha stimolato, ho lavorato duramente e ho giocato tantissime partite da “ragazzo del settore giovanile”. Feci la prima amichevole, giocai bene e da lì non sono più uscito dalla formazione titolare.
NOCERINO, NEDVED E LA JUVENTUS
Lì ho avuto la conferma che mi sarei potuto ritagliare uno spazio importante in Serie A, nonostante avessi oltre cento presenze in Serie B. Nedved mi ha aiutato molto, è stato fondamentale perchè mi ha fatto capire che cosa vuol dire arrivare ad alti livelli, meritarsi stima e fiducia e stare ad altissimo livello. Con un’unica parola chiave: lavoro. Senza mai accontentarsi e mostrando serenità e voglia. Se ho giocato e mi sono meritato quell’anno di giocare titolare alla Juventus, è stato anche per l’esempio di Pavel. Un calciatore e un uomo impressionante, che spesso non viene capito dall’esterno. Aver conosciuto questi campioni mi ha preparato alle sfide successive”.
NOCERINO, IL PALERMO E ZAMPARINI
“Nel 2008 la Juventus voleva Amauri, e in quel momento storico i giocatori del settore giovanile non venivano ritenuti così fondamentali per il progetto. Zamparini voleva me, la Juventus voleva Amauri e mi sfruttò per abbassare il prezzo insieme ad altri giocatori. Ringrazio il Palermo, che oltre ad avermi dato la possibilità di conoscere una piazza incredibile, mi ha consentito di lanciarmi a tutti gli effetti.
Abbiamo sfiorato la Champions e costruito stagioni fantastiche, con un gruppo che era una famiglia e venne costruito dal nulla. Si veniva dagli anni di Guidolin e bisognava migliorare quegli anni. Al mio arrivo non ci fu un bell’inizio: venne cambiato l’allenatore dopo la prima partita, con Ballardini avemmo continuità, però facemmo la differenza a livello di gruppo e squadra con Delio Rossi.
Lì creammo una macchina perfetta, raggiungendo la finale di Coppa Italia e ottenendo il record di punti, oltre ad avere grandissimi giocatori e nazionali in ogni paese. Ce la giocavamo con le big e spesso le battevamo. Un gruppo impressionante, che riuscì a resistere anche senza direttore sportivo e si compattò: non ci serviva nulla per rendere al meglio, andavamo col pilota automatico. Vivere un gruppo così è stato un onore. Se Zamparini avesse tenuto l’ossatura della squadra, vendendo solo Pastore e comprando un difensore e un regista, avremmo avviato un ciclo di altissimo profilo come quello del Napoli: avremmo potuto centrare la Champions e divertirci ogni anno. Vendendo qualche big ogni anno, il nostro ciclo fu devastante. Pensate se fossero rimasti tutti…”.
NOCERINO E CAVANI
“Devastante già da giovane. Correva come un centrocampista, aveva una fame e una grinta impressionanti. Si vedeva a occhio nudo che lui e Pastore erano fatti per altre piazze. E, come per Pastore con Ilicic, Zamparini si era già portato avanti prendendo il sostituto: avevamo Abel Hernandez e Pinilla, c’era Mchedlidze che è stato molto sfortunato… E anche Ilicic, era già un fenomeno pur essendo molto giovane. Vedere ciò che è successo al Palermo dopo la finale di Coppa Italia mi ha fatto male: immaginatevi Belotti, Dybala e Vazquez in un gruppo granitico come quello del Palermo che sfiorò la Champions con Delio Rossi. Avremmo potuto creare un’isola felice e un progetto simile a quello dell’Atalanta di adesso. C’era tutto per fare benissimo: tifoseria calda, gente straordinaria e grandissimi giocatori”.
NOCERINO E L’ADDIO AL PALERMO
“Volevo rimanere, perchè avevo mia moglie incinta della seconda bambina e non volevo muovermi. Temevo il cambiamento, perchè stavo benissimo al Palermo. Dissi al presidente: “Sono a scadenza, voglio restare, mi faccia firmare anche lo stesso contratto senza adeguamenti e fronzoli”. Avevo raggiunto la mia stabilità calcistica e umana a Palermo, sarei rimasto a vita e avrei chiuso lì la carriera. Così non fu. Partii in ritiro, c’era Pioli che venne mandato via dopo il preliminare col Thun, e piano piano venne smontata tutta la squadra, facendo così finire il progetto: io andai al Milan, Pastore e Sirigu al PSG, rimasero Balzaretti e Cassani, ma il blocco pulsante della squadra venne distrutto. La piazza non si meritava un finale così”.
NOCERINO E IL MILAN
“Mi ingaggiarono per soli 500mila euro, una cifra impensabile oggi. Un affare clamoroso per il Milan, che fa capire anche come il Palermo volesse “liberarsi” di me e non mi trattò da bandiera. C’erano gli Europei all’orizzonte, andai in una grandissima squadra e ricca di campioni. Già dal numero che dovevo scegliere sudavo, non sapevo cosa fare e temevo di pestare i piedi a qualcuno. Pirlo mi disse di prendere la 21 in Nazionale, mentre al Milan presi la 22. Non l’avessi mai fatto, era di Kakà e i giornali impazzirono
“Ha distrutto il numero di Kakà, non è da Milan…”. Nel primo mese venni distrutto, però vengo da un posto che mi ha fatto diventare grande velocemente e ho la testa molto dura. Qualche critica non mi ha abbattuto, avevo avuto esempi importanti e lavorando mi sono conquistato la stima di tutti. Nel primo allenamento, mi sono scontrato con Ibra e sono volato per 5/6 metri: lì ho capito che, o lavoravo il triplo degli altri, o non avrei ottenuto nulla.
NOCERINO E GATTUSO
Vedendo Gattuso, che poi è diventato un amico e un esempio, ho iniziato a lavorare duramente, sono diventato titolarissimo e ho segnato proprio contro il Palermo la mia prima rete col Milan. Da lì ho iniziato a prendermi spazio e ho capito che ero sulla buona strada. Il difficile era continuare così: andavo sempre al limite, non mi risparmiavo e volevo vincere la sfida-Milan, facendo cambiare idea a chi mi aveva massacrato. Ho fatto un’annata straordinaria, tantissimi gol (11) e sono stato convocato a furor di popolo all’Europeo, facendo ricredere i critici.
E’ stata la più grande soddisfazione della mia carriera calcistica. La Curva Sud mi ha subito adottato – confessa Nocerino – perchè davo tutto. Io non avevo le qualità di Seedorf o Ronaldinho, però la maglia del Milan mi faceva sentire invincibile e mi trasformava in un “supereroe”: sapevo che potevo contare su degli uomini incredibili, su un pubblico che mi ha subito accolto e mi ha dedicato uno storico e bellissimo coro (“Oh Nocerino, picchia duro, facci un gol/Chiamato Mister X, per due soldi è giunto qua/Adesso gioca segna ed esulta con gli ultrà”), e su un Milan che era una grande squadra”.
NOCERINO E BOATENG
“Kevin è un grande, una persona meravigliosa che è l’opposto di quello che la gente pensa. Le etichette sono sbagliate, non si dovrebbe giudicare chi non si conosce o prendersi certe libertà. Un grande ragazzo, che faceva parte di un grande gruppo di campioni che ti indicavano la strada: stava solo a noi non sbagliare e sprecare l’occasione. Auguro a Boateng e al Monza di approdare in Serie A, anche perché ci sono Berlusconi e Galliani che sono due grandissimi dirigenti. Persone che amano il calcio e di grandissima competenza, meriterebbero di nuovo di tornare ai massimi livelli”.
NOCERINO E IBRAHIMOVIC
“Un mostro, nulla di ciò che fa è casuale. L’età per lui è solo un numero. Ha un carisma e una forza fisica impressionante, si diverte ancora a giocare e dà il mille per mille. Sposta gli equilibri e sono contento che sia ancora strepitoso come allora”.
NOCERINO SUL MILAN ATTUALE
“Quando il Milan è partito, un anno e mezzo fa, nessuno si aspettava che arrivasse così rapidamente al secondo posto e alla lotta-scudetto. Maldini, Massara e mister Pioli stanno facendo un lavoro enorme e dando continuità, eliminando gli alibi del cambiamento societario ai giocatori. Allenandosi con Ibra e avendo continuità a livello di progetto e di società, quegli alibi sono svaniti. I giocatori attuali hanno capito che per stare ad alti livelli e indossare quella maglia si deve lavorare duramente. E i risultati arrivano. Kessie sta facendo un campionato pazzesco, sta facendo molto bene e la sua crescita è merito di Pioli: gli ha dato consapevolezza e tranquillità, così ha potuto mostrare le sue qualità. Kessie, Bennacer, Calabria e Calhanoglu crescono di anno in anno in maniera impressionante. Spero che possa farlo anche Leao, che ha qualità importanti”.
NOCERINO SU DONNARUMMA
“Gigio fa un altro sport, è uguale per doti e applicazione a Buffon con cui ho giocato da ragazzo. Lui e Theo Hernandez fanno un altro sport. Mi piace molto Tomori”.
NOCERINO E IL WEST HAM
“I sei mesi in Premier League sono stati stupendi, come cultura e mentalità li consiglio a chiunque abbia voglia di imparare, conoscere e crescere. Quell’esperienza mi ha aperto tanto la mente: conoscere altre culture, paesi, abitudini è fondamentale. Un mondo diverso: non c’è ritiro, il calcio si vive diversamente. Un’ora e mezza a tutta in allenamento o in campo, poi si stacca e si vive con meno stress e meno pressioni. Non ci sono radio, televisioni, giornali che parlano 24h su 24, 365 giorni all’anno e ogni secondo di calcio, ed è molto diverso. Bisogna prendere il buono da ogni paese e/o cultura”.
NOCERINO E LE ESPERIENZE DI TORINO E PARMA
“Un’esperienza disastrosa. Venivo dal West Ham, avevo l’opportunità di rimanere in Inghilterra, però volevo rimettermi in gioco in Serie A e in Italia, per dimostrare di poter dare ancora tanto ad alti livelli. Non mi sentivo bene umanamente, stavo male per la situazione che si era creata e non ho reso. Dopo quell’esperienza sono andato a Parma, e paradossalmente pur non prendendo lo stipendio e avendo perso entrambi i genitori in 45 giorni, mi sono ritrovato. Quando sono morti i miei genitori volevo smettere, però a Parma mi sono ritrovato e sono andato oltre i mancati stipendi e i problemi personali: ero felice, pur avendo qualcosa in meno, rispetto a come mi sentivo al Toro.
Al Parma ho incontrato persone favolose: Donadoni era eccezionale, il gruppo ha fatto cose incredibili, aiutando i dipendenti del club. La società prendeva gli sponsor e pagava le spese necessarie, noi aiutavamo i dipendenti e ci sentivamo realizzati dal poter dare qualcosa a persone che guadagnavano 1000/1200 euro al mese e davano la loro vita per il Parma. Un’esperienza che non posso paragonare a nessun’altra, nonostante le difficoltà economiche. Ho giocato, mi sono divertito, ho fatto tre gol in venti partite e mi è tornata la voglia di divertirmi in campo. Ero arrivato al punto che era più importante la persona che avevo di fronte, che lo stipendio”.
NOCERINO E L’MLS E ORLANDO
“Dopo Parma tornai al Milan, ma con Mihajlovic giocavo pochissimo e a febbraio decisi di risolvere il contratto, senza rancore. Era un altro Milan rispetto a quello che avevo vissuto negli anni precedenti: non eravamo pronti a sostituire i grandi campioni e non volevo rovinare il ricordo che avevo lasciato nei tifosi. In quel momento entrò in gioco Orlando, dove ho ritrovato Kakà, e ci siamo trasferiti armi e bagagli negli Stati Uniti. La franchigia dell’Orlando era nuova: Kakà aveva il 10, il portiere il “mio” 23 e mi sono preso la numero 22. Un’esperienza meravgliosa, non facile all’inizio per i bambini, ma che ci ha fatto conoscere un’altra cultura e un altro paese. Con la mia famiglia ci siamo supportati l’uno con l’altro e abitiamo tuttora ad Orlando: siamo qui da cinque anni, ci troviamo bene e abbiamo trovato la nostra dimensione”.
LA PARTITA DA RIGIOCARE PER NOCERINO
“I quarti di Barcellona-Milan, quando siamo usciti con qualche errore di troppo (Niang, ndr). Potevamo vincere la Champions. Al Barcellona è legato il mio ricordo più importante da calciatore: segnai, mio padre era in tribuna e pianse al momento del mio gol al Camp Nou. Un sogno realizzato. Mi passarono davanti tutti i sacrifici fatti da me e mio padre: gli interminabili viaggi in pullman, perchè lui non aveva la macchina, per andare agli allenamenti o a giocare nonostante pioggia, vento e neve. Poter realizzare i miei sogni è stato bellissimo”.
NOCERINO IL RITIRO
“Ho smesso troppo presto? Fisicamente stavo bene, mi trovavo bene col direttore e il presidente, non con l’allenatore (Bucchi, ndr). Da lì ho deciso di smettere, avendo anche la famiglia lontana e avendo fatto un sacrificio molto grande lasciandoli lontani. Per farlo, ne dovevo fare la pena. E non ne valeva la pena. Allora ho smesso e ci siamo stabiliti definitivamente a Orlando”.
AVVERSARI
“Tutti mi hanno messo in difficoltà (ride, ndr). Racconto un aneddoto. Giochiamo contro il Barcellona, io ero la mezzala destra e dovevo marcare Iniesta. Nel pre-partita pensi “chiudo qua, chiudo là, faccio qui, faccio lì”. Poi lo vedi giocare e ti dici: “Ma cosa vuoi chiudere, che quello con la palla fa quello che vuole? Vai e amen (ride). Ho affrontato giocatori fenomenali, allucinanti. Iniesta, nel suo ruolo, è stato il migliore al mondo per anni. Devastante. In Serie A mi ricordo di aver sfidato Vieira ed Emerson a Messina, e anche Kakà da avversario aveva il motorino quando partiva palla al piede. Imprendibile”.
I COMPAGNI
“Balzaretti avrebe meritato una carriera diversa, di maggior livello. Fortissimo, tecnico, costante, nel giro della Nazionale… Giocatore troppo sottovalutato, era il più forte in Italia nel suo ruolo. Ho fatto un allenamento con la Juventus di Zidane, Davids e O’Neill: dei fenomeni di altissimo livello, mi sogno ancora le loro giocate. A volte pensavo: ma io cosa ci faccio qui, con loro? I numeri che tutti ricordate, Zidane li faceva anche in allenamento. E anche Robinho e Ronaldinho facevano cose assurde in allenamento, ma comunque distanti da quei tre che ho citato prima”.
NUOVI NOCERINO
“Non credo che ci sia un giocatore che mi assomiglia, il calcio è cambiato. Barella mi piace tanto e spero che possa fare qualche gol in più: il centrocampista più forte della Serie A. Con Antonio Conte ha fatto uno step pazzesco in termini di qualità e intensità. Mi sarebbe piaciuto essere allenato da Conte, per quello che dà e trasmette ai giocatori. Antonio è straordinario e ti entra nella testa, facendoti andare oltre ogni limite. Con lui sono migliorati tantissimo parecchi giocatori e l’Inter è diventata la favorita per lo scudetto”.
RIMPIANTI
“Da napoletano, mi sarebbe piaciuto giocare nel Napoli. Per noi napoletani è il sogno di una vita. Può essere il mio unico rimpianto, insieme a qualche scelta diversa che avrei fatto: magari avrei pensato più volte ad alcune destinazioni, ma senza sbagli non s’impara”.
IL FUTURO
“Sono aperto a tutto. Vorrei trasferire ciò che ho imparato ai miei giocatori, evitando le cose brutte che ho appreso e corretto, facendo il contrario. Potrei allenare sia in Italia che all’estero. Voglio che i miei giocatori siano grandi uomini, prima che grandi calciatori, che abbiano dei valori forti. Magari potessi allenare a Palermo… Non sono ipocrita o finto, ma uno dei miei sogni da allenatore è quello di allenare in piazze che ho già vissuto da giocatore, e col Palermo ho avuto un rapporto speciale. Con le persone e con la città. Hanno un grande allenatore, ma a Palermo andrei di corsa. Il Parma? Spero che possa salvarsi, sono legato alla piazza: non è facile, ma auguro loro con tutto il cuore di mantenere la Serie A”.
Il direttore sportivo dello Spezia, Meluso, ha parlato oggi della sua squadra a Sky Sport e la paragona ai primi satanelli di Zeman
“Abbiamo avuto una certa continuità di prestazioni – dice Meluso – che ci ha sempre fatto ben sperare. C’è stata una flessione di risultati prima di Natale, ma mai di prestazioni. Non abbiamo avuto a disposizione tantissime risorse, ma quando ho accettato questo incarico sapevo che avremmo dovuto tenere i bilanci in linea. Ho trovato un allenatore ed uno staff di grande livello. Io lo seguivo da quando ero a Lecce, ma Vincenzo Italiano ed i suoi collaboratori sono gli artefici di questo momento magico. “
“Sembra di vedere il primo di Foggia Zeman – confessa Meluso – con la differenza che qui si rischia di meno. La squadra ha preso consapevolezza: ha capito cos’è, cosa fa e come lo fa. Noi abbiamo fatto 19 acquisizioni e 12 uscite in trenta giorni in estate, abbiamo dovuto fare molto in fretta. Poi siamo cresciuti, ci siamo amalgamati, il gruppo ha fatto propri gli insegnamenti dell’allenatore che ho la fortuna di vedere lavorare ogni giorno. La nuova proprietà Platek? Per il momento non ci aspettiamo nulla. Adesso ci concentriamo sull’ottenere la salvezza, quello che verrà dopo si discuterà a tempo debito. Non dobbiamo cullarci sui risultati, l’esperienza dello scorso anno mi insegna di non farsi corteggiare troppo dai complimenti”
In occasione del suo compleanno abbiamo intervistato Peppino Pavone, lo storico direttore sportivo di Zemanlandia e attualmente Ds della Juve Stabia
Direttore buon compleanno, lei resta un mito per una comunità di tifosi di zemanlandia, di cui lei è uno dei maggiori fautori, come si sente a ricevere tutto questo affetto ed essere una figura storica del calcio italiano?
“Sinceramente sono sorpreso da tutto questo affetto – confessa Peppino Pavone – e certo mi fa molto piacere. D’altronde nella mia vita calcistica ho sempre cercato, per quelle che erano le mie competenze, di aiutare tutti, io penso che poi nella vita ciò che semini quello raccogli”
Ora il vostro modello sembra di ispirazione per tanti giovani tecnici, proprio in queste ore Italiano si è detto ispirato dal vostro Foggia, le da orgoglio tutto questo anche se dopo più di 30 anni?
“Certo anche perché ci inorgoglisce il fatto di essere stati i precursori in Italia di un calcio aggressivo veloce e verticale che oggi ha preso piede un po’ dappertutto”
In questi giorni Insigne ha raggiunto quota 100 gol con il Napoli. Lui spesso si è detto riconoscente a lei e Zeman. Può raccontarci di come e quando si accorse di lui?
“Ma io all’epoca lavoravo per la Cavese, a tutela delle quote che Casillo aveva acquistato, la squadra si allenava a Palma Campania e su quel campo disputava le partite ufficiali la primavera del Napoli, successe che un sabato finito l’allenamento della Cavese il custode mi disse che da lì a poco avrebbero giocato la partita Napoli Lazio primavera, per cui mi fermai per vedere la partita.In pratica la partita fu Insigne contro la Lazio, fece gol assist di tutto, naturalmente vinse il Napoli, i commenti sugli spalti erano che era bravino ma piccolino. Incurante dei loro commenti lo portai a febbraio dopo il Viareggio a Cava. Caffarelli, responsabile del settore giovanile, era l’unico che non voleva darmelo ma, siccome aveva giocato con me alla Cavese, lo convinsi a darmelo. Naturalmente l’anno dopo lo portai al Foggia”
Zeman fu colpito subito quando glielo segnalò?
“Subitissimo”
Lo vide da subito ala sinistra?
“Si, lo mise subito sugli esterni certo”
Che ne pensa di Gattuso e chi le piace come progetto attuale in A?
“Gattuso è un ottimo allenatore e motivatore, secondo me gli viene chiesto l’impossibile perché a mio modo di vedere il Napoli non è competitivo per lo scudetto e forse neanche per la Champions perché vedo Inter, Milan, Atalanta, Juve e Lazio più forti del Napoli”
Lei per fortuna è ancora nel calcio, il modello di cui parlavamo e che lei porta dipende anche dal sostegno delle societá, ci sono attualmente le condizioni per ritrovarla protagonista di una scalata? Molti sognano di rivederla ancora una volta con Zeman, il Boemo è in silenzio da molti mesi..
“Io spero – afferma Peppino Pavone – che qualcuno si affidi a noi, anche perché al di là delle capacità abbiamo due qualità che non dovrebbero far temere, l’onestà e l’aziendalismo, come dicevano i latini “SPES ultima dea”“.
Luca Anania, ex portiere dell’Avellino, del Lecce e del Pescara di Zeman, ha parlato ad Ultrà Avellino.
“Zeman? Tanti pregi – afferma Anania- è un maestro de calcio, lo intende nella maniera più spettacolare del termine. Ci insegna i movimenti dell’attacco e come tenere il campo per 90 minuti. Posso parlare solo bene, non ha difetti. Con lui segnano tutti”.
L’ Avellino del 2004
“Fu un campionato strano, oltre ad alcuni particolari che sono di dominio pubblico e che non mi va di ripetere. Il girone di andata perdemmo tanti punti e lì ci condannammo. Nel girone di ritorno andammo benissimo e facemmo una media punti quasi da playoff, ma non ci servì. Bastava un altro mese e ce l’avremmo fatta, sarebbe stata una grande impresa ma purtroppo è andata male. Rimpianti? Tanti, come detto il girone di andata fatto male e poi tante cose, siamo stati presi di mira da tutti, anche dagli arbitri. Soddisfazioni? Una dozzina di partite giocate, un rigore parato ad Ascoli e una grande partita a Cagliari”.
Ricordi di Avellino
“A parte la retrocessione appena raccontata ho ricordi belli. Mi sono trovato bene, è una piazza calorosa e ambiziosa e sono contento di essere passato da questa società importante. Mi sono messo in mostra, ero il secondo di Cecere ma mi sono fatto notare e grazie all’Avellino ho toccato anche la Serie A. Avellino è una città che vive di calcio, con tifosi passionali e ricorderò sempre la mia esperienza in Irpinia”.
Anania sull’Avellino di oggi
“Si certo, sta facendo bene e auguro che possa continuare così e conquistare una buona posizione per i playoff e giocarsi poi la promozione in B”.
La Legge del Partenio
“E’ un qualcosa di strepitoso, entrare nello stadio e sentire migliaia di persone urlare lupi lupi lupi, e’ un fortino, un campo difficile per tutti, una vera tana del lupo. Peccato che quell’anno non riuscimmo a rispettare questa legge più di tanto”. Colleghi con cui è in contatto: “All’inizio con tutti quasi, poi con il passare degli anni i rapporti si sono persi. Mi sento ogni tanto con Puleo, Nocerino, Sardo”.
Dal Nord al Sud
“Certo, consiglio il Sud perchè ci sono piazze calorose, che vivono per la propria squadra, c’è una adrenalina pazzesca. Io mi sono trovato benissimo e al Sud devo la mia carriera, Avellino, Lecce, Pescara, Catania”.
Allenatore
“Una volta che mi sarò ritirato ho intenzione di fare l’allenatore. L’Avellino? Sarebbe un sogno, è una piazza importante, non si rifiuta mai. Magari potessi un giorno tornare, come allenatore o nello staff tecnico, sarebbe un sogno”.
Il girone di andata di serie b è giunto a conclusione. Pescarasport24 pubblica le statistiche degli ultimi 10 anni del club e spunta un dato su Zeman.
L’ articolo giustamente basa la statistica sul miglior piazzamento in classifica, negli ultimi dieci anni alla fine dei gironi d’andata. Il vincitore di questa statistica è il Pescara di Pillon, che subentrò proprio a Zeman nel marzo 2018. E che nella serie B 2018-19 concluse il girone al secondo posto. Il bottino fu di 32 punti in 18 gare. Il Pescara del Boemo, quello della grande impresa, invece si piazzò al quarto posto, ma con 39 punti il 21 gare, dopo la grande vittoria contro la Nocerina per 4-2. Partita famosa per un video di una grande azione zemaniana.
Con quel bottino il Pescara di Zeman, in una serie B paragonabile ad una seconda serie A, detiene il record di punti e di media punti di questa statistica. Subito dopo il Pescara di Oddo con 37 punti in 21 gare.
Ciccio Baiano è intervenuto ai microfoni del Corriere Fiorentino. Ha parlato del periodo Viola e di Zeman.
Cicco Baiano, cosa non sta funzionando?
«Praticamente tutto – confessa Ciccio Baiano – la squadra segna poco e se ne fa uno, ne prende due. Contro il Benevento non ho visto ardore, la situazione è brutta. La squadra gioca con paura, non reagisco: questo mi preoccupa molto».
Teme per la retrocessione come nel 1993?
«No, ma solo per un motivo: perché c’è chi sta peggio della Fiorentina. Con il campionato a venti squadre di solito retrocedono almeno due neopromosse. E guardandosi intorno c’è anche chi sta peggio dei viola, questo ci salva».
C’è un aspetto più degli altri che non la preoccupa?
«L’attacco, mi fa arrabbiare parecchio perché io ci tengo alla Fiorentina».
Vlahovic non la convince?
«Ma chi crede di essere? Si sente penalizzato? Non lo è, è un miracolato. Attenzione: credo che in futuro potrà essere un attaccante importante, ma oggi cos’ha dimostrato per mettere il muso? Guardate com’è entrato nella partita di Roma. Deve capire che ancora non ha fatto nulla per meritare la maglia da titolare a Firenze. Quando si entra in campo ci vuole uno spirito diverso. Vale per lui ma anche per gli altri: subentrando bisogna dimostrare all’allenatore che ha sbagliato a non darti fiducia. Quindi dico che lui, ma anche gli altri, devono pedalare».
Contro il Benevento sembrava che nessuno sapesse saltare un avversario. Vuole mostrare lei come si fa?
«Non potrei fare nulla (sorride ndr), certe cose non si insegnano. Soltanto Chiesa è in grado di saltare l’uomo in velocità, ma lui non c’è più. Lo sa fare Castrovilli, come Ribéry che ci riesce solo perché ha più tecnica degli altri ma non il passo. Ecco, vedo una squadra che cammina».
Allora cosa servirebbe? Un allenatore come Zeman che lei aveva al Foggia?
«Non si lavora più come con lui – sentenzia Ciccio Baiano – in questo il calcio è evoluto male. Tutti fanno preparazione col pallone ma così non ci si accorge di chi lavora al massimo e chi no. Quando invece corri, si vede chi resta indietro. Poi bisogna lavorare anche sulla testa: la squadra è spenta, non azzanna. Si vede che non ci sono leader nello spogliatoio. In questi momenti, per il bene di tutti, bisogna cercare il confronto e se serve mettere il compagno al muro ma qui non lo fa nessuno. Alla fine per quieto vivere non ce n’è uno che alza la voce. Mi sembra che in tanti non si siano resi conto di come si stiano mettendo le cose.
Varrella intervenuto a Radio Punto Nuovo, nel corso di Punto Nuovo Sport, ha parlato dell’attuale esperienza da Ct del San Marino, di Sacchi, Zeman e il nuovo fronte allenatori.
“In Campania – afferma Varrella – ho allenato tanto, ho tanti bei ricordi in questa terra, ma mio padre era nato a Pozzuoli, quindi ho sempre vissuto da innamorato le mie esperienze lì. Sono stato il vice di Sacchi, ero l’uomo che dalla tribuna con walkie talkie dicevo a Sacchi se la linea si muovesse bene.
Oggi ct di San Marino
“L’ho sempre considerato – confessa Varrella – come il piacere del nostro entroterra romagnolo, ho capito l’amore per la loro nazione che hanno i sammarinesi. Devo ammettere che San Marino vive il rapporto con le Nazionali in modo un po’ particolare: il ragazzino che dà 4 calci al pallone, già gioca nell’under 16 o nell’under 17. L’imbarazzo è che vivono un mondo dilettantistico all’ennesima potenza e sono in difficoltà al lasciare il lavoro, dovendo entrare anche in questione in Coni sammarinese.
Sarajevo nel 1996
Non venimmo mai abbandonati, c’era un’aria ostile, difficile. Il famoso viale dove i cecchini sparavano costantemente, qualche cecchino pare ci fosse ancora. Fu una visione triste, brutale: un conflitto vissuto in modo intenso”.
Sacchi e Zeman ispirazione per gli evoluti
“Sacchismo, ascesa e caduta e qual è il modello dominante? Sacchi e Zeman, hanno aperto un fronte nuovo ai giovani d’oggi. In Europa già si vedeva un calcio diverso: abbiamo etichettato il calcio olandese come il calcio fisico, era una farsa. Il calcio olandese interpretava il correre meglio. Grazie a Sacchi e Zeman esistono i Guardiola, i Klopp, gli evoluti attuali.
Pirlo e Gasperini
“Ho fatto a Pirlo, duranti i corsi Uefa Pro, tre lezioni. Gasperini è evoluto perché i suoi giocatori interpretano una tattica individuale non più nell’uomo copre uomo, ma uomo marca uomo. Non solo si toglie tempo e spazio, ma si fa in modo che non riceva il pallone”.