Italia – Spagna 1-1 (4-3 r.): è la quarta finale europea della storia azzurra!

Una Italia più stanca e meno dominante della Spagna riesce nell’impresa di portare i favolosi iberici ai rigori. E lì i nervi degli azzurri, in controtendenza alla loro storia, restano saldi a differenza di quelli spagnoli. I quali dimostrano nel post partita, attraverso le dichiarazioni del loro mister, il Ct Luis Enrique, il perché sono stati così vincenti… sanno soprattutto perdere. Il mister delle furie rosse, dal vissuto umano drammatico, elogia la partita di entrambe le squadre definendo super l’Italia. Per questo motivo, l’ex allenatore anche della Roma e del Barcellona farà il tifo per gli azzurri in finale.

1. Il pre-gara italiano

Non che Paolo Guzzanti sia necessariamente una voce di rilievo ma colpì quando, durante una trasmissione di La7, definì l’Italia un Paese presuntuoso ed ego-riferito. Dalla cucina all’arte, il Bel Paese si definiva, secondo lui, tale soprattutto per un provincialismo imperante, per mancanza di conoscenza dell’estero e dei suoi usi e costumi. Vizio italico che si riverbereva nelle sue conseguenze nefaste anche tra i confini nostrani, dove nessuno era in grado di realizzare, anche solo a livello comunale, una comunità che fosse veramente tale.

E nel raccontare il match contro la Spagna, questa perfida descrizione del nostro Paese trova plastica dimostrazione. I media italiani hanno raccontato di una Italia più forte della Spagna quasi in ogni reparto. Improvvisamente l’Italia del Mancio era divenuta il Brasile del ’70 senza che nessuno se ne fosse accorto. Puntuale la risposta dei fatti: la Spagna maramaldeggia. Potrebbe vincere nei tempi regolamentari e supplementari con agio, ma l’inesperienza di un gruppo molto giovane e l’assenza di una punta esiziale condannano gli spagnoli alla forca dei rigori alla fine della cui lotteria escono onorevolmente sconfitti.

2. La partita

Due squadre molto simili nel gioco, Spagna e Italia. L’intento di entrambe è di controllare il possesso della palla sempre e comunque. Ci riesce nella semifinale di Wembley molto bene la Spagna, costringendo l’Italia al 35% di possesso palla. Il consolidamento del dominio del gioco riesce meglio se a fronte del pressing avversario l’uscita palla è gestita da Eric Garcia e Laporte piuttosto che da Chiellini e Bonucci.

L’Italia però ha il merito di non innervosirsi ed accettare il match del sacrificio. Combatte e difende a centrocampo e in area di rigore. Ha la sensazione, poi, con Chiesa di poter fare sempre male in contropiede. Unai Simon gioca una partita sensazione in termini di lettura: ha tolto costantemente la profondità all’idea italiana di attaccare in verticale una difesa spagnola non bravissima nei tempi del rinculo a palla scoperta.

E, in uno dei contropiedi, Chiesa segna un gol alla Lorenzo Insigne, un tiro a giro che si spegne all’incrocio del secondo palo. Nonostante una mole di gioco ispirata da due fantastici giocatori, Sergi Busquets e Pedri, e resa pericolosa dalle sortite offensive del demonio Dani Olmo, l’Italia è a un passo dalla finale, perché l’1-0 regge fin dal 60′!

3. I cambi

A 15 minuti dalla fine, tuttavia, sale in cattedra Roberto Mancini, ma le sue scelte sono controproducenti. Il ct azzurro toglie lo stanco Emerson Palmieri per l’accorto stopper Rafael Toloi. Dirotta Di Lorenzo a sinistra. Inoltre, avvicenda lo spento Verratti con Pessina. Già aveva, immediatamente dopo il vantaggio, sostituito l’impresentabile Immobile – Belotti non farà meglio – con Berardi, proponendo un insospettabile Insigne falso nove.

Il risultato è che l’Italia perde ogni velleità offensiva. Sia sulle fasce dove agiscono due terzini bloccati: uno per caratteristiche, l’altro per inusualità della posizione assunta. Sia centralmente dove Insigne non riesce a proteggere palla mentre Pessina e Barella creano più quantità che qualità in mediana.

L’ultima mossa deficitaria del Mancio consiste nel chiedere a Jorginho la marcatura ad uomo di Pedri. Il diciottenne genio spagnolo si tira fuori dalla posizione di trequartista, porta Jorginho nel mare magnum del centrocampo, si apre un buco nel cuore della difesa azzurra che la Spagna sfrutta in modo rapido e cinico. Morata si presenta a tu per tu con Donnarumma e lo trafigge. A dieci minuti dalla fine è di nuovo pari: 1-1.

4. Supplementari e rigori

Durante i supplementari, una Italia stremata resiste con la forza della disperazione ma non propone più alcun tipo di calcio. Resta soltanto la trincea, nella quale spicca più di tutti Giovanni Di Lorenzo autore di una prestazione, difensivamente parlando, immaginifica. Il Napoli fortunatamente gli ha allungato il contratto di un anno (ora la scadenza è 2026, fonte sky). L’applicazione del terzino partenopeo gli ha consentito di annullare sia fisicamente che tatticamente tutte le ali spagnole affrontate. Non ne ha sofferta nessuna!

Benché la Spagna abbia un paio di occasioni clamorose lungo i faticosi supplementari per chiudere la pratica anzitempo, il match alla fine giunge ai rigori. Unai Simon nella sua scelta di scommettere sempre sul tiro incrociato imbriglia soltanto il rigorista principiante Locatelli. Poi la perfezione degli altri rigori azzurri lo vedono inerme. Nel frattempo Dani Olmo ha pareggiato l’errore di Locatelli sparando il suo destro in tribuna, mentre Morata commette l’errore decisivo appoggiando il piatto sui guanti del portiere azzurro. Infatti, dopo il centroavanti juventino, va dal dischetto lo specialista Jorginho, che in modo magistrale non perdona e spiazza il portiere inviando un’intera Penisola, per una volta tutta unita, in finale!

Massimo Scotto di Santolo

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Italia – Austria 2-1: quanta fatica per gli azzurri

Un Ottavo di finale apparentemente non complicato si è rivelato una vera agonia per gli azzurri. Sin dalle premesse, la polemica sull’inginocchiarsi o meno dell’Italia prima del fischio d’inizio ha creato inutili tensioni. Poi la tenacia austriaca ha irretito la compagine del Mancio. Gli italiani infatti hanno dovuto aspettare il 120′ per festeggiare il passaggio del turno. I cambi dalla panchina decisivi per la vittoria!

1. Black lives matter

Le due magliette rosse indossate dai tennisti italiani, Panatta e Bertolucci, nella finale di Coppa Davis del 1976 a Santiago del Cile in segno di protesta al regime sanguinario di Pinochet mentre il dittatore assisteva alla partita sugli spalti. Il saluto romano non sferrato nell’aria da Bruno Neri, calciatore della Fiorentina, prima di una partita del campionato italiano all’epoca del fascismo. Le svastiche che intimoriscono e spaventano quando spuntano disegnate sempre più frequentemente sui muri delle nostre città. Il simbolismo sociale e politico non è un concetto svuotato di contenuti concreti.

Dipende solo da quanto interessi una battaglia! Il Fascismo preoccupa ancora gli italiani per le conseguenze che comporta. Basta studiare un libro di storia di Quinta elementare per rinfrescarsi la memoria. Il riconoscimento invece di una migliore posizione sociale e culturale del popolo africano in Occidente non rappresenta priorità degli animi tricolore.

Lo dimostra Chiellini che scambia l’inchino disputato come un gesto di lotta politica al Nazismo. Il sostituto capitano della nazionale italiana, Bonucci, un paio di anni orsono ammoniva la reazione scomposta del suo compagno di squadra alla Juventus Moise Kean per aver reagito, quest’ultimo, agli ululati razzisti piovuti dagli spalti della Sardegna Arena di Cagliari e a lui indirizzati. Anche il vice capitano Leonardo dunque sarebbe risultato inadeguato nel dare spiegazioni alla stampa sui termini etici e morali della scelta.

Il referente politico della spedizione azzurra, ossia il Presidente della Federazione Gravina, aveva tracciato la strada, come del resto anche lo stesso Mancini: chi vorrà s’inginocchierà. Una concessione di libertà espressiva un tantinello troppo spinta per un Paese che ha una libertà di stampa appena più effettiva della Corea del Nord e che al momento vanta al Governo un Partito come la Lega Nord.

Alla fine l’Italia ha scelto l’opinabile strada del cameratismo militare. Così non si è inginocchiato nessuno, perdendo un’ulteriore occasione di risultare simpatica, democratica o almeno contemporanea.

2. Il Primo Tempo

Il match contro l’Austria appariva insidioso ma alla lunga pochi erano i dubbi su chi avrebbe passato il turno. L’Italia aveva l’arduo compito di giocare bene al calcio, rispettare i pronostici in un ambiente completamente diverso da quella di Roma. La partita si è disputata nel tempio del calcio inglese, Wembley, al cospetto di pochi tifosi e non tutti italiani.

Gli austriaci dal canto loro, guidati da un tecnico di origine italiana (Foda), hanno dimostrato sin da subito di aver fatto i compiti, proponendo un 451 attendista ma non speculativo. Il 3421 con cui in modo molto offensivo attacca l’Italia consentiva agli azzurri di schiacciare costantemente l’Austria nella propria area di rigore. Tuttavia, è sempre risultato impossibile per gli azzurri entrare con le combinazioni in area di rigore.

La Nazionale per almeno tutti i tempi regolamentari si è affidato al tiro da fuori. Immobile e Barella i più pericolosi. Molto male Berardi, anche Insigne che però si salva sfoggiando prestazione di grande abnegazione difensiva.

3. Il Secondo Tempo

Più il tempo però trascorreva e più il dominio posizionale del campo diventava per l’Italia difficile attuarlo. Le energie psicofisiche andavano lentamente prosciugandosi. Così l’Austria, nel 2 tempo, meno pressata prendeva il sopravvento, alzando i terzini Lainer e Alaba e costringendo Insigne e Berardi a rincorrerli.

Le due mezze ali austriache, Sabitzer e Schlager, agendo alle spalle di Barella e Verratti (autori di prestazioni non scintillanti) impedivano ai centrocampisti azzurri di mettere pressione al regista Grillitsch. Quest’ultimo sempre libero, quindi, di ordire la manovra insieme ai due centrali di difesa. Immobile costretto progressivamente ad un torello.

Alla fine l’Austria rischiava anche di vincere anzitempo il match. Arnautovic segnava un gol che per pochi centimetri è risultato irregolare per offside. L’Italia metabolizza lo spavento accogliendo di buon grado la soluzione supplementari, anche se Berardi avrebbe la palla a tre minuti dalla fine per segnare il gol partita. Tuttavia, il fantasista calabrese la spreca malamente con una rovesciata manifesto della sua serata poco lucida.

4. Primo Tempo supplementare

I cambi di Mancini, tra la metà del secondo tempo e la fine dei 90 minuti, servivano per dare una verve atletica e fisica necessaria per attaccare le spalle di una difesa biancorossa molto organizzata, per vincere duelli in mezzo al campo contro gli arcigni austriaci e infine creare superiorità numerica. Locatelli, Pessina, Chiesa e Belotti riescono nel compito a cui fino a quel momento, maestosamente, si erano dedicati in pochi: Spinazzola, Di Lorenzo e i due centrali difensivi.

Jorginho dall’alto della sua classe si è erto, come sempre, con intelligenza sopra tutti gli altri: ormai è davvero in onda su tutte le frequenze mondiali Radio Jorginho per come gioca e comanda.

L’attacco puntuale alla profondità di Chiesa, servito dallo spaziale Spinazzola che è così in forma da costringere Insigne a fare il fluidificante per lasciargli il posto da ala, è vincente. Il figlio di Enrico sfrutta una esasperata diagonale di Alaba, si ritrova dunque solo sul lato destro dell’area, stoppa il pallone, rientra sul sinistro eludendo il disperato rientro del centrale austriaco e fulmina il portiere avversario con un tiro di sinistro che finisce all’angolino basso del secondo palo.

Poi entra in scena Insigne. Dopo tanti minuti di pavida diligenza, sfodera una punizione all’incrocio che avrebbe meritato il gol ma il portiere austriaco mette le mani e devìa in angolo. Lorenzo, inoltre, indovina un assist per Acerbi in un inusuale posizione di centroavanti. Il leone della Lazio passa rocambolescamente la palla a Pessina, che non si fa pregare e alla Perrotta segna il gol del 2-0.

5. Secondo Tempo Supplementare

Il gol di Pessina, il forcing azzurro per realizzare dinanzi all’avversario sanguinante il colpo del Ko, risultano decisivi e segno di grande maturità. Infatti, l’Austria non si arrende. E prima impegna Donnarumma alla grande parata. Poi Sabitzer spreca da pochi passi un gol già fatto sparando in tribuna.

Infine, il centroavanti subentrato ad uno splendido Arnautovic (che ha severamente impegnato Bonucci), tale Kalajdzic, giocatore molto stimato in Bundes dove nell’ultima stagione ha siglato 16 reti, dall’alto dei suoi 2 metri spizza in tuffo una palla proveniente dal corner destro del teleschermo la quale trova il corridoio giusto per insaccarsi in porta sul lato del primo palo.

La partita sembrerebbe riaperta ma in realtà l’assedio austriaco risulta fortemente sterile, consentendo all’Italia di difendere senza affanni il vantaggio che la porta a Monaco di Baviera per giocarsi all’Allianz Stadium i Quarti di finale dell’Europeo contro Belgio o Portogallo.

Massimo Scotto di Santolo

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Italia-Svizzera 3-0: azzurri da tripla doppia

L’Italia di Mancini gioca talmente bene al calcio che sembra un club. Un team in grado di vincere soltanto di tre a zero in tre a zero. La contemporaneità e la freschezza degli azzurri riporta alla mente la nazionale del mondiale italiano del ’90. Che siano tornate le notti magiche? O è una nostalgica, benché dal finale amaro, rivisitazione di un tempo che fu come in un film di Virzì?

1. Due Italia a confronto

Durante i mondiali del ’90, i ragazzi di Valcareggi furono sospinti da una Italia borghese e benestante, che si godeva liberamente allo stadio Olimpico la propria competizione internazionale e sosteneva, con una torcida elegante ma appassionata, calciatori giovani, ricchi, forti e famosi. Una nazionale azzurra anche all’epoca pensata su di un calcio offensivo. Senza fuoriclasse affermati ma in rampa di lancio. La solidità e l’esperienza affidata dal ct dell’epoca al reparto difensivo.

Quella squadra nazionale rappresentava un Paese profondamente diverso: pieno di opportunità da Nord a Sud. Per un attimo apparve veramente per una sola volta unito. Milano era da bere ma Napoli era tornata capitale della politica, della musica e dello Sport. Napoli campione d’Italia nel calcio e nella pallanuoto; Caserta campione d’Italia nel Basket. I soldi del post-terremoto, non senza scandali, alimentavano una economia fallace ma sul breve periodo efficiente. Dal punto di vista politico, il Sud grazie ai suoi membri della Dc ( partito ancora in piedi prima dell’imminente Tangentopoli) vantava vessilli in tanti Ministeri e posti di prestigio istituzionali.

L’Italia del Mancio dal canto suo, invece, sembra in missione: risollevare il morale ad una Nazione falcidiata dal covid, dalla disillusione e dalla disoccupazione. Il calcio così codificato, intenso ed emotivo degli azzurri ha anche l’arduo compito di rendere più popolato di com’è lo stesso stadio Olimpico la cui capienza è ridotta causa Pandemia dei tre quarti.

2. Italia – Svizzera

Una superiorità attesa, quella italiana, che si è confermata sul campo. A nulla è servita l’esperienza laziale del ct svizzero Petkovic per arginare, attraverso una conoscenza diretta e approfondita del nostro calcio, la scioltezza con cui l’Italia sta sbrigando i match di questo Europeo.

La partita contro la Svizzera sembra immediatamente porsi nella direzione giusta grazie al tap-in vincente del capitano Chiellini su calcio d’angolo d’Insigne. La rete è giustamente annullata per fallo di mano del difensore juventino, che dopo pochi minuti esce per infortunio muscolare. Il futuro dell’Italia all’Europeo dipenderà anche dalle condizioni fisiche. L’infermeria è già piena: Chiellini, Florenzi e Verratti. La panchina dell’Italia abbassa il valore della squadra titolare.

Anche il 3412, proposto dagli elvetici per cercare un uomo contro uomo a tutto campo e vincere la partita imponendo supremazia negli scontri individuali, non ha sortito effetto. L’Italia ha perfezionato l’uscita da dietro. E con lucidità, per tutto l’arco della partita, ha trovato sempre esiziali uno contro uno a campo aperto degli attaccanti italici contro i difensori svizzeri. E come contro la Turchia, Berardi salta il rispettivo marcatore e stavolta a metterla dentro è la felice sorpresa in ascesa professionale Manuel Locatelli.

3. Manuel Locatelli

Man of the match: Manuel Locatelli. Ragazzo di belle speranza della cantera milanista, sbolognato dai rossoneri dopo non aver confermato le iniziali e strabilianti premesse. Il che racconta tutto della poca lungimiranza da cui è afflitto questo Paese.

De Zerbi, allenatore ideologico ma preparato ed espatriato addirittura in Ucraina per non abdicare al suo credo calcistico, ha trasformato il demoralizzato Locatelli in un perfetto centrocampista box to box. Abbina la mezz’ala sassolese regia e supporto alla manovra. Sembra Hamsik benché manchi dei gol dello slovacco; reti che però ora pare stia iniziando a siglare a partire dalla sua esperienza in Nazionale, alla quale ha già donato una doppietta.

Infatti anche il secondo gol dell’Italia ha la firma di Locatelli, che trafigge il portiere svizzero con un tiro preciso da fuori. La passiva difesa svizzera, onde evitare imbucate alle spalle, ha progressivamente accomodato il baricentro della linea a 5 sulla linea dell’area di rigore, lasciando spazio ai frombolieri azzurri. Oltre a Locatelli, anche Ciro Immobile ha così avuto il tempo di prendere la mira e segnare il terzo e ultimo gol della vittoria italiana ai danni della Svizzera.

4. Quali prospettive?

Mancini si è concesso anche un cambio modulo sul risultato di due a zero per l’Italia. E’ passato ad un 352 per fronteggiare una Svizzera che nonostante le difficoltà, in contropiede, era riuscita nel secondo tempo ad impegnare, seppur per una sola volta, severamente Donnarumma. All’interno di questo nuovo schieramento ha ancora di più impressionanto lo spirito e la verve di Di Lorenzo, che pur mancando della tecnica di Florenzi rappresenta puntuale sbocco per la manovra.

Se l’Italia dovesse trovare anche flessibilità tattica entro principi di gioco ormai collaudati, allora la prospettiva potrebbe risultare interessante, al netto di ciò che i campioni di cui le altre nazionali sono dotate intendono lasciare all’Italia stessa. Al momento l’unico modo con cui si può realmente mettere in difficoltà la squadra del Mancio sono le ripartenze profonde alle spalle dei terzini. Il prossimo avversario, mediocre, il Galles da questo punto di vista rappresenta ottimo test.

I gallesi vantano decatleti sulla delantera del valore di Bale, Ramsey e James. Propongono una difesa altrettanto bassa come quella turca e svizzera ma molto più dedita alla battaglia. Gioca, il Galles, alla britannica e cioè con una certa qual risolutezza nel vivere dentro la propria area di rigore e nell’accettare di giocare soltanto su contrasti e seconde palle.

Infine, la sfida con il Galles è nel frattempo divenuta utile per il primato del girone. L’Italia ha due risultati su tre. E perchè no, anche la volontà di migliorare le statistiche che la riguardino: 29 partite da imbattuta e sette clean-sheet consecutivi per Donnarumma. Numeri che obiettivamente sembrano non poter spaventare soltanto la Francia di Deschamps.

Massimo Scotto di Santolo

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L’imbelle Ventura parafulmine della BBC

No. In questa nazionale ci sono alcuni elementi che hanno giocato esclusivamente per loro. Hanno scelto loro il modo di giocare e l’hanno imposto ad un cittì imbelle e privo di personalità. Buffon, Chiellini, Bonucci, Barzagli: 39, 34, 30, 37 anni. Hanno imposto l’assetto tattico che li fa soffrire meno, che maschera la loro idiosincrasia per un modo di giocare diverso (emblematiche le dichiarazioni di Chiellini sul guardiolismo) e che nasconde l’incedere del tempo.

Emblematici, stasera, i 10′ finali del primo tempo: Bonucci, acciaccato, sveste i compiti di regia e sale in cattedra Jorginho, letteralmente escluso dalla manovra dal trio difensivo. Risultato? Manovra sveltita e tre occasioni nitidissime. Nella ripresa, Bonucci riprende la regia e sposta gli equilibri a modo suo.

In due partite, per questo assetto tattico imposto da questi signori, due tra i più grandi talenti italiani, Verratti ed Insigne, vengono rispettivamente ridicolizzati e marginalizzati.

Ventura, confermo, mi fa pena. Ma essere privi di spina dorsale è una gravissima colpa. De Rossi che sbotta perché non sa se deve entrare o no è la fotografia dello spessore di questo cittì.

Eppure, non è vero che il materiale manca. Bernardeschi, Insigne, Verratti, Jorginho, Rugani, Caldara, Spinazzola, El Shaarawy, Pellegrini, Florenzi, Belotti, Romagnoli, Donnarumma. Manca forse un blocco. E quello che c’è è putrido e si è rivelato nefasto.

Per il resto, intervenga Malagò. Subito. E chiuda subito Coverciano, che è il vero cancro del sistema. Sulla dignità di Tavecchio è bene non fare affidamento.

Paolo Bordino 9