Udinese – Napoli 0-4: Spalletti e il compromesso storico

Il Napoli brillante, ammirato ad Udine, è frutto di una ricomposizione tattica ed emotiva cesellata da Luciano Spalletti. Il tecnico di Certaldo ha unito la fluidità del gioco ancelottiano ad una identità dogmatica sarrista. Ha mantenuto intatti gli spunti positivi di Gattuso e scartato quelli infondati. Nell’eterna lotta tra i presidenzialisti e gli anti aziendalisti ha pacificato le due fazioni stando dalla parte del pubblico in qualità di uomo della società, alla quale ha saputo prestare carezze e schiaffi con parsimoniosa misura ed intensità. Il risultato è un Napoli consapevole delle proprie forze come mai da tre anni e perfetto, fino ad ora, nel suo cammino. La bellezza di tale perfezione consiste, infatti, proprio nell’aver vinto nonostante i difetti e nel voler vivere senza paura della morte.

1. Il lungo inverno

Ora la creatura di Luciano Spalletti, il Napoli stagione ’21/’22, danza sulla bocca di tutti. Stupefacente la vittoria sul campo della gagliarda Udinese ancora imbattuta in questo inizio di campionato. Attacco azzurro mortifero, gestione della partita encomiabile, difesa impenetrabile. Pur tuttavia, questo Napoli è il risultato di un cammino lungo di cui Spalletti sta raccogliendo i frutti.

All’indomani della fine del sarrismo, tre anni è durato il progetto di rinnovamento. E’ che questo percorso fosse giunto a compimento si era capito già nel girone di ritorno della stagione precedente, quando cioè il Napoli collezionò 43 punti. Si stava chiudendo un cerchio che vide l’ultimo Napoli sopra i 40 punti in un singolo girone di campionato, quello dei primi sei mesi di Ancelotti. Ed era ancora un Napoli profondamente sarriano. Il trend già prima dell’arrivo di Spalletti era in silenziosa e crescente ascesa.

2. I meriti temporanei di Spalletti

Spalletti ha avuto allora il merito di sembrare far brillare una bomba inesplosa. Ha conservato il 4231, imposto come nuovo schema da Ancelotti e ripreso riottosamente anche da Gattuso, ma inserendo varianti a seconda dell’avversario: il Napoli sa interpretare anche il 433 (applicato soprattutto in fase difensiva) e il 3421 (applicato soprattutto in fase offensiva). L’impostazione da dietro alterna, in base al pressing avversario, una linea di difesa a 4 più un solo centrocampista in appoggio ai difensori (4+1, utilizzato proprio ieri ad Udine) o una linea di difesa a 3 più due centrocampisti in appoggio (3+2, utilizzato ad es. contro il Leicester).

Il vero capolavoro “spallettiano” però consiste nell’aver cancellato quelle due categorie che albergavano nell’anima della città: i difensori e gli oppositori di De Laurentiis. Con i secondi ad incensare tutti i professionisti che hanno assunto ruolo contrappositivo alla società nella figura del Presidente. Amatissimi per questo motivo prima Sarri e poi Gattuso. Odiato Ancelotti per qualche esternazione aziendalista di troppo. Intanto spariva il campo dietro pessimismi cosmici dettati da faide intestine al tifo napoletano.

Ora, grazie a Spalletti, pare esista solo il Napoli e le sue prestazioni sul campo. Bisognerà testare più avanti, quando arriverà la bufera, se questo centrismo socialista non verrà rinnegato alla ricerca di scorciatoie: attaccare i calciatori per solleticare lo spirito di chi non crede nella professionalità di un gruppo che ha tradito in passato dirigenza, allenatori e tifosi oppure attaccare la società per non aver rinforzato a dovere la rosa.

3. Udinese – Napoli

Nel frattempo, gli azzurri vincono e convincono. E’ difficile riscontrare difetti nella prestazione andata di scena alla Dacia Arena, casa dei fruliani, a parte i primi 5′ di partenza lenta che pur Il Napoli si è concesso. Poi progressivamente ha sciolto i muscoli e dato sfoggio di sé.

L’idea di Spalletti, per venire facilmente a capo dell’enigma difensivo del tecnico avversario Gotti, consisteva nel disporre la linea a quattro di difesa allo scopo di attrarre sui terzini le due mezz’ali del centrocampo a 3 dell’Udinese. Sovente ha avuto effetto la trappola. E spesso, quindi, i partenopei hanno maturato superiorità in mezzo al campo ma soprattutto isolato i due esterni di attacco contro i quinti della difesa a 5 dell’Udinese.

Ed è li che Gotti voleva vincere la partita e invece l’ha persa. Contromovimento d’Insigne che finge di andare incontro a Mario Rui per poi attaccare la profondità. Il portoghese recapita pallone puntuale per il destro d’Insigne, il quale sfodera pallonetto di enorme precisione che consente ad Osimhen di spingere a porta vuota in rete il pallone dello 0-1.

4. La gestione da squadra finalmente ritrovata grande

Il vantaggio consente al Napoli di aspettare un’Udinese non propriamente abituata a fare la partita. Udinese, peraltro, spaventata dallo spazio alle spalle della propria difesa che Osimhen ha imparato ad attaccare con “discreta” cattiveria. Non a caso i bianconeri perdono completamente il filo del discorso. In questa assenza mentale, il Napoli con sconosciuto cinismo piazza due gol su schemi da calcio da fermo, mandando in rete i due difensori centrali (Rrahmani e Koulibaly).

Ritorna il compromesso storico. Non può essere un caso che dopo tre anni dall’addio di Sarri tornano schemi e geometrie in concomitanza con il rientro di Calzona. Calzona, detto Ciccio, storico vice di Sarri. Molto poco glamour per Londra, Torino e Roma ha portato conoscenze dentro lo staff di Spalletti dopo la pessima esperienza a Cagliari sotto la guida di Di Francesco.

4. Quali differenze con il Napoli del passato?

E però Spalletti è tecnico in grado di affrancarsi da copie carbone ed etichette. Lozano non lo snatura ma se c’è bisogno gioca a sinistra, dove il messicano non gradisce giocare. Hirving segna il quarto gol ed è bellissimo. Così come il Napoli di Spalletti, quasi quanto quello di Sarri ma non per le varianti che per ora ha mostrato.

Questo merito anche di Giuntoli, al cui lavoro il riconoscimento lo fornisce Gotti. Ad oggi, il tecnico dell’Udinese dichiara, è impossibile scegliere come affrontare il Napoli. Ha caratteristiche per le quali sia la difesa bassa che quella alta rappresentano in presenza di Osimhen enigmi decifrabili per la compagine azzurra. Mertens, da questo punto di vista, concedeva più scelta agli avversari sarristi su come preparare la partita. Eppure lo spunto muscolare del belga, all’epoca ancora esplosivo, ha rabberciato tante potenziali lacune.

Quindi, Spalletti pare voglia fondare un Napoli sarrista nel cuore ma ancelottiano nella mente. E con Carlo condivide il feticismo per la fisicità, in virtù della quale è stato assunto il per ora dominante Anguissa; per le varianti tattiche di cui si è detto e per Fabian possibile regista.

5. Spalletti e il compromesso storico

Gattuso aveva raccontato che lo spagnolo davanti alla difesa non poteva giocarci. Ci fu un tripudio generale su quest’affermazione, visto che il maldestro Ancelotti lì insieme ad Allan lo proponeva tra il brusio borbottante di una platea scontenta. Spalletti inizialmente si è fidato di tale convinzione e con Lobotka faceva scivolare Ruiz tra terzino e ala destra. Poi l’infortunio dello slovacco ha aperto le porte della sperimentazione. E Luciano ha compreso che con organizzazione e compagni complementari anche Fabian può dettare tempi e coperture davanti ai due centrali di difesa.

Mentre Spalletti ha ritenuto intoccabile l’intuizione di Gattuso nello schierare Zielinski trequartista. Visione sfuggita sia a Sarri che ad Ancelotti. Eppure non ha svilito, come fatto da Rino, il ruolo di Elmas a ragazzo della primavera aggregato alla prima squadra. E nemmeno confermato la maldicenza, rispetto alla precedente gestione tecnica, che Lobotka non fosse abbastanza professionale e forte per giocare in serie A.

Sembra la sfortunata epopea del compromesso storico teorizzato da Moro e Berlinguer: l’idea di creare, attraverso una posizione temperata, un accordo nell’interesse di tutti. I due leader politici agli antipodi volevano restituire agli italiani un nuovo miracolo economico sostenibile ed etico fondato su principi progressisti comunemente condivisi. Spalletti, invece, vuole ricostituire il diritto di sognare smarrito dai tifosi partenopei. Lo fa agendo, momentaneamente in modo ottimale, da eroe di mondi provenienti dal passato e tra loro fino ad ora scollati. Si spera non intervenga alcun fattore esterno a turbare un equilibrio centrista ma non compromettente.

Massimo Scotto di Santolo

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Sampdoria, Di Francesco: “Zeman era avanti 20 anni, un maestro”

sampdoria-di.francesco-zeman

Buona uscita della Sampdoria di Eusebio Di Francesco. I blucerchiati liquidano la Pro Patria esibendo un ottima forma fisica e ottime giocate.

Di Francesco post Sampdoria – Aurora Pro Patria

🔵⚪🔴⚫⚪🔵 Mister Di Francesco soddisfatto della prestazione della Sampdoria. E sul mercato: " Il club mi metterà nelle condizioni di lavorare al meglio"

Geplaatst door Telenord op Donderdag 25 juli 2019

Sampdoria-Pro Patria 4-0

 “A sprazzi la Sampdoria mi è veramente piaciuta. Hanno provato, nei due tempi, a riportare quello che abbiamo preparato in questi giorni. Nel primo tempo, in particolar modo, abbiamo fatto le cose migliori, ma anche nella ripresa i ragazzi hanno provato a ricercare quello che chiedo. Qualche giocatore, nel secondo tempo, giocando fuori ruolo, ha faticato un po’.

Gabbiadini sulla fascia destra può essere la soluzione per la prossima stagione? 

“Non è fuori ruolo, io ho sempre detto che andava valutato come attaccante esterno. Lo sta facendo con grandissima qualità, ovviamente deve migliorare determinati movimenti.

La Sampdoria è stata poco cinica?

 No, è stata qualitativa: quando metti i tuoi giocatori 7-8 volte davanti al portiere, significa che le giocate sono state di qualità. Abbiamo lavorato sulla verticalizzazione: sono contento del gioco espresso, nel secondo un po’ meno. Un allenatore non è mai contento, cerca sempre il meglio dalla propria squadra. ”

Cosa è mancato nella ripresa? 

La qualità ha fatto la differenza, ricerchiamo l’eccellenza ma ci vuole tempo, abbiamo iniziato da poco questo percorso.

C’è un giocatore che sta impressionando in questo momento? 

“Non voglio parlare dei singoli, voglio parlare della squadra. Ho trovato una squadra che ha nella testa la voglia di lavorare e migliorarsi.”

Il paragone con Zeman? 

“Ho sempre apprezzato il mister, era avanti di 20 anni quando mi allenava. Per quanto riguarda la fase offensiva è stato per me un maestro.”

Possiamo aspettarci nuovi innesti nei prossimi giorni? 

“Questa è una domanda da fare alla società. Io faccio l’allenatore, sono convinto che il club mi metterà nelle condizioni di lavorare al meglio.Valuteremo nei prossimi giorni, il mercato è lungo.”

Come stanno i ragazzi? 

“Sono meravigliato in senso positivo, pensavo ci volesse un po’ più di tempo, invece la loro grande applicazioni è stata fondamentale. Credono in quello che uno propone, si divertono quando giocano.”

Quagliarella? 

“Deve crescere fisicamente visto che è arrivato in ritardo rispetto agli altri. Si muove veramente bene, è un attaccante di qualità”.

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Inchiesta Roma, De Rossi: “Vi faccio arrivare decimi”

Questa, che chiameremo Inchiesta Roma, dimostra il caos e il peso che ha sempre rappresentato De Rossi nella Roma e quanto Zeman avesse ragione nella stagione 2012-2013. L’Inchiesta Roma portata avanti da Repubblica svela dettagli inquietanti sulla Roma e chiarisce i motivi del turbolento addio tra De Rossi e la Roma. Dall’inchiesta emerge anche la volontà, insieme ad altri senatori, di far fuori Totti.

INCHIESTA ROMA, DOCUMENTI E PROTAGONISTI

Nel documento, datato 16 dicembre 2018, un uomo di fiducia di James Pallotta racconta al suo presidente di come lo spogliatoio o almeno parte di esso chieda alla proprietà di far cadere tre teste: quella dell’allenatore Eusebio Di Francesco, quella del direttore sportivo Monchi, e quella dell’ottavo Re di Roma, Francesco Totti.

Si citano, come fonti, i senatori Edin Dzeko, Kostas Manolas, Alexander Kolarov e Daniele De Rossi. Dall’inchiesta, Repubblica ha avuto accesso a fonti dirette e carteggi interni alla società, emerge uno spaccato inquietante che getta una nuova luce sui rapporti tra i due capitani e, soprattutto, documenta un grumo di ricatti e trame di spogliatoio che dice molto non solo della Roma e di Roma, ma anche del doppiofondo del calcio professionistico. 

E’ una storia che comincia a metà agosto del 2018. L’estate è gonfia di attese. I conti della società sono a posto. Il fatturato ha toccato i 250 milioni di euro, patrimonio dei calciatori a libro supera i 200 milioni che di fatto raddoppiavano a valore di mercato. Sono stati rispeati i paletti del fair play finanziario.

L’IRA E LA MINACCIA DI DE ROSSI

Sono state fatte cessioni dolorose: Alisson, Nainggolan, ma l’ultimo acquisto fatto, il campione del mondo Nzonzi viene accolto come un grande colpo. Non la pensa così De Rossi che ritiene quell’acquisto un avviso di sfratto e, come raccontano tre diverse fonti, chiede, anche attraverso il suo agente, la rescissione del contratto. Daniele in un momento di collera, avvisa la dirigenza: “Se non risolviamo  la cosa vi faccio arrivare decimi”. Lo strappo viene ricucito. Ma quello scricchiolio è il prologo di quanto accadrà nell’arco di soli quattro mesi. 

IL TESTIMONE ED LIPPIE

La mattina del 16 dicembre Ed Lippie, preparatore atletico e uomo di massima fiducia di Jim Pallotta, che ha appena lasciato dopo tre anni la Roma per tornare a Boston, si sistema di fronte al suo pc. Ha delle cose importanti da scrivere, che il suo presidente deve sapere. Lippie spiega a Pallotta di avere ancora occhi e orecchie dentro Trigoria. Le sue fonti — scrive — lo informano regolarmente con messaggi e telefonate. E quello che raccontano è sorprendente. Spiega che i quattro “senatori”, che cita — De Rossi, Kolarov, Dzeko e Manolas — ritengono il gioco di Di Francesco dissennato, dispendioso sul piano della corsa ma misero su quello della tattica.

Lamentano l’indebolimento della squadra. Il tecnico – dicono da Roma – è in preda alla nevrosi dovuta al rammarico di aver accettato da Monchi un mercato inadatto al suo 4-3-3. Circondato da uno staff non all’altezza, vittima della sua stessa presunzione di riuscire ad “adattare” calciatori non compatibili col suo gioco.

Lippie scrive che Monchi a Trigoria è visto come il fumo negli occhi. Lo vivono come un narcisista che ha riempito la squadra di giocatori per i quali vincere o perdere è la stessa cosa. Se le fonti dell’ex preparatore dicono il vero la squadra soffre la presenza di Totti nel suo nuovo ruolo di dirigente. Le percezioni negative che trasmette allo spogliatoio. E’ mal tollerato — così scrive Lippie — da coloro a cui ha consegnato il testimone e che pubblicamente non smettono di celebrarlo.

Le fonti di Lippie chiedono che l’ex “Capitano” venga allontanato da Trigoria se necessario cacciando Di Francesco cui Totti è legatissimo. E sostituendolo con qualcuno che lo tenga lontano. Monchi, Totti e l’intera struttura societaria, a partire dall’allora dg Mauro Baldissoni e dal media strategist Guido Fienga, vengono informati della mail.Monchi rassegna le dimissioni (che vengono respinte). Per Totti quel racconto è una ferita profonda. Occorre mettere mano dentro lo spogliatoio – dice alla società – e bisogna cominciare proprio dal medico e dal fisioterapista; le cose non potranno che andare peggio. In quel momento, però, la Roma si deve ancora giocare tutti i traguardi di stagione e Monchi e Di Francesco sconsigliano di aprire una crisi che terremoterebbe la squadra. 

LA PEZZA

 Si sceglie la via di sempre: metterci una pezza. E rimandare il redde rationem con senatori e whistleblowers. La società chiede a Monchi un piano b. La possibilità, se la situazione sportiva dovesse precipitare, di immaginare un nuovo allenatore. Monchi il piano b non lo ha. Anzi, rilancia: «Se va via Di Francesco vado via anch’io». Pallotta e i suoi soci fanno la sola cosa nella loro disponibilità. Ridistribuiscono le deleghe e nominano ceo Guido Fienga un uomo con una lunga esperienza in finanza. A Baldissoni va la vice presidenza, per portare a casa il progetto vitale per la crescita del club: il nuovo stadio.

LA CRISI, LA SQUADRA ENTRA NEL TUNNEL

La squadra intanto entra in un tunnel da cui non uscirà più. Subisce una rimontato con l’Atalanta, l’umiliazione dell’ennesimo 7-1, in Coppa Italia a Firenze, e perde male il derby. Di Francesco chiede alla società di essere mandato via se questo può risolvere quel conflitto sordo con lo spogliatoio che ormai è un segreto di Pulcinella. Ma gli ottavi di Champions sono vicini: la doppia sfida col Porto è l’ultima chiamata.

ESONERO DI FRANCESCO

Dopo il ko di Champions vengono accompagnati alla porta, insieme a Di Francesco e Monchi anche Del Vescovo e Stefanini. Nessuno fuori da Trigoria si chiede il perché, ci si accontenta della versione ufficiale, quella che li vuole responsabili dei troppi infortuni. Lo spogliatoio il perché lo conosce. E prende le difese di Stefanini, cui De Rossi è legatissimo (è una delle tre persone che il capitano citerà nella sua lettera di addio). I senatori si convincono che la pulizia abbia un mandante, Francesco Totti. E tra lui e De Rossi scende un gelo che durerà fino alla fine. Fino a quell’ultimo fotogramma di domenica 26, con Totti sotto l’ombrello, le mani in tasca e una faccia che è una maschera di amarezza per quella festa triste di cui conosce il non detto.

ADDIO DE ROSSI

I modi e i tempi dell’infelice addio tra De Rossi e la Roma si comprendono ora meglio. E si comprende ora meglio anche per quale motivo ci siano versioni opposte su chi abbia mancato di rispetto a chi. De Rossi lamenta che la società non abbia nemmeno voluto discutere di un rinnovo “a gettone”; la società sostiene che sia stato Daniele ad aver cambiato idea all’ultima curva. Quel che conta, ed è più interessante, è come quell’addio turbolento diventi narrazione, senso comune, utile a chi vede in questo psicodramma l’occasione decisiva per sottrarre agli americani il giocattolo. 

(fonte Inchiesta Roma, Repubblica)

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Gasperini:“Spero che una donna rivoluzioni il calcio come Zeman e Sacchi”

Giampiero Gasperini è stato ospite d’onore in occasione della presentazione del nuovo libro di Luigi Garlando. L’evento si è svolto presso la libreria “Fantasia” in Borgo Santa Caterina di Bergamo.

RAPPORTO CON I GIORNALISTI

“Il rapporto coi giornalisti è cambiato – spiega Gasperini- perché sono tantissimi. Impossibile o quasi coltivare rapporti personali. Un tempo erano pochi e fidati, si faceva amicizia e si andava a cena. Si sapeva cosa scrivere o cosa no. Adesso si va a caccia di gossip e scoop, si spara magari la polemica con un titolone on line: anche per questo chiudo spesso gli allenamenti alla stampa.Quando un giornalista dà un brutto voto, dà spesso la colpa all’allenatore perché ha schierato quel tal giocatore fuori ruolo. Stando a sentire i miei, non leggono le pagelle, ma ci credo poco”.

ZEMAN E SACCHI

“Il calcio è bello perché ognuno lo può vedere a modo suo. Io le donne vorrei sentirle parlare di tattica. Non serve aver giocato a calcio per praticarlo: Zeman e Sacchi sono stati due rivoluzionari in panchina senza averlo praticato ad alti livelli. Mi piacerebbe che qualche donna rivoluzionasse in qualche modo il nostro mondo”.

PARTITA CONTRO IL MILAN. 

“Contro il Milan ci siamo sentiti molto bene, ma alla fine eravamo arrabbiati per il risultato. Una buona partita dando tutto lascia comunque soddisfazione. La partita più bella? Eeeeeeeeehhhhhh”.


MESTIERE DEL MISTER

“Per me il mestiere più bello è l’allenatore, forse quello del calciatore lo è ancora di più. Ma uno comincia per passione, perché si sente predisposto. Se fai una cosa che ti piace, finisci per farla bene. Per allenare ci vuole pazienza, credibilità presso i giocatori, saper mettere la squadra in campo”.

COPPA ITALIA E DI FRANCESCO

“Alla Coppa Italia ci credo io e ci crede tutta l’Atalanta. Faremo di tutto per vincerla. Quando mi espellono non è una cosa bella, ma ogni tanto ci casco e non do un bell’esempio. È un punto su cui lavorare. L’esonero invece riguarda l’allenatore ma è una sconfitta per tutti. Ho sentito di Di Francesco, mi è dispiaciuto: per lui deve essere un momento di grande delusione. Come essere bocciati a scuola. Ma gli altri che gli sono intorno non lo ha messo in condizione di essere promosso”.

IL PUBBLICO DI BERGAMO

“A Bergamo il pubblico regala affetto e tante emozioni, a me cori e attestati di stima ovviamente inorgogliscono. Ma la parte maggiore dei meriti è dei giocatori, sono gli Ilicic e i Gomez che costruiscono gioco e ti fanno vincere. A Bergamo mi è capitato di sentire tifosi allo stadio un po’ confusi. ‘Guarda l’Inter come gioca bene’. Risposta: ti sbagli, quella è l’Atalanta”. 

GIOCATORI MIGLIORI

“Spingiamo tutti per Zapata domenica. Ci speriamo! I migliori? Per qualcuno Ilicic, per altri Gomez o Zapata. Vedete come è difficile fare classifiche? Come le pagelle.. A me danno tanti meriti sui giovani, ma il talento è cosa loro. Non penso di poter loro trasmettere qualcosa che hanno già. Ciò che posso fare è conceder loro fiducia, per aiutarli a esprimersi al massimo delle loro possibilità”.

LA SVOLTA

All’inizio, appena arrivato a Bergamo, ero vicino all’esonero. Mi arrabattavo su come far giocare bene la squadra, che in apparenza giocava male ma non era neanche così vero. C’era il Napoli da affrontare, le mie scelte erano come un problema di matematica. Abbiamo vinto come tutti sapete ed è lì che è iniziata la svolta”.

SALVIO IMPARATO


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Frosinone-Roma, Di Francesco: “Sono ridiventato zemaniano” (VIDEO)

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Dopo il match Frosinone-Roma, vinto dai giallorossi 2-3, Eusebio Di Francesco ha punzecchiato scherzosamente un giornalista nella conferenza post partita. Forse anche al buon Eusebio non va giù di essere paragonato a Zeman esclusivamente in accezione negativa. Il Boemo è il “padre” di tanti nuovi e bravi allenatori.

La risposta di Di Francesco è arrivata all’ultima domanda della conferenza post Frosinone-Roma, in cui si sottolineava l’incapacità della Roma di finire una partita con la porta inviolata.

“E’ un bel cruccio che mi porto dietro. L’anno scorso eravamo un’ottima difesa, la seconda difesa del campionato, oggi invece subiamo qualche gol in più, ma segniamo anche di più. Forse sarò ridiventato zemaniano. Vincendo con qualche gol in più dell’avversario prendendone qualcuno in più. Aldilà della battuta per evitare si facciano i soliti titoli, non sono contento di tutto questo, a volte ci perdiamo. Verrano partite importanti come il derby in cui non ci possiamo permettere certe distrazioni”.

SALVIO IMPARATO

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Coachesvoice, Di Francesco: “Osservo Pep, ma è Zeman il mio ispiratore”

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Come allenatore, sono più costruito che nato. Così esordisce Eusebio Di Francesco in un’intervista al portale calcistico coachesvoice

“Non volevo farlo inizialmente – continua Di Francesco su coachesvoice – e onestamente non avrei mai pensato di poterlo fare. Guardavo gli altri allenatori e non ho mai avuto il desiderio di fare quello stesso percorso”

“Sono diventato Team Manager della Roma dopo essermi ritirato. L’ho fatto per un anno, ma non mi piaceva il ruolo. Non ero tagliato per quello”

“Non pensavo più al calcio. Mi sono allontanato dal gioco. Non ho nemmeno guardato i risultati.”

“Successivamente, ho provato a dare una mano come consulente di mercato per sei mesi. In un piccolo club, il Val di Sangro. Ma non ero soddisfatto nemmeno di quello.”

“A poco a poco, ho iniziato a sentire l’odore dell’erba. Quelle sensazioni che provi quando sei nello spogliatoio. Passare ad allenare mi ha rimesso in contatto con quei sentimenti sopiti.”

CALCIO ITALIANO E INFLUENZE

“Tendiamo a concentrarci molto di più sull’aspetto difensivo che su quello offensivo.Lavoriamo tantissimo sulla tattica senza lasciare nulla al caso, abbiamo molti allenatori esperti. All’inizio della mia carriera di calciatore fui colpito da Marcello Lippi alla Lucchese, più tardi a Roma da Fabio Capello. Non ho intenzione di elencarli tutti, ma ho cercato di prendere qualcosa da tutti. Ora osservo molto Pep Guardiola. Ho grande ammirazione di lui. Mi piace la sua idea di calcio e non amo il possesso palla fine a se stesso. Non voglio aspettare l’avversario, ma andare sempre ad aggredirlo”.

ZEMAN

“Ma l’influenza principale per me in termini di stile di gioco offensivo, di attaccare sempre l’avversario è stata quella di Zdenek Zeman. Zeman era un pioniere. Le sue squadre attaccavano sempre. Erano ben allenate e hanno sempre provato a segnare un gol in più rispetto all’avversario. Normalmente non sono un fan dell imitare o copiare il lavoro di qualcun’altro. Ma ho imparato molto il lato offensivo del gioco da lui, e ne traggo ancora oggi grandi benefici”.

DE ROSSI, DOMINIO DEL GIOCO E MENTALITA’ VINCENTE

“De Rossi può farcela a diventare allenatore. Ha il carattere, l’esperienza e la conoscenza giusta dopo aver lavorato con tanti manager differenti. Spero in futuro che sia tra quelli che lasceranno un segno”.

“Voglio sempre dominare. Chiaramente non possibile in tutte le occasioni. Prima di arrivare a Roma ero al Sassuolo, ma anche quando siamo andati a giocare con squadre superiori a noi, abbiamo cercato sempre di imporci”. 

“Il calcio non è una scienza. Ma credo che la scienza possa guidare il calcio a migliorare. Le statistiche sono utili. Possono darti indizi o indicazioni importanti quando si tratta di prepararsi per una partita, o quando stai cercando di migliorare le debolezze che potresti avere.

“Se vedo una statistica che mostra che la mia squadra non sta giocando molti passaggi verticali, cercherò di lavorare su questo aspetto del gioco più di altri in allenamento perché sono un allenatore che preferisce giocare in verticale”.

“In un club come la Roma, una familiarità con l’ ambiente – l’ambiente o l’ambiente attorno a un club – è sicuramente un vantaggio. Non è mai facile da gestire, ma il fatto che l’abbia vissuta come giocatore è un grande vantaggio”.

“Il ruolo di un allenatore è totalmente diverso, però. Damaggiori responsabilità e l’ ambiente non deve mai essere una scusa. Chi viene qui sa che i media e le situazioni che incontri sono totalmente diversi. I fan sono davvero appassionati e hanno il desiderio di vincere perché non succede da molto tempo”.

“A volte, quel desiderio può diventare più grande di quanto tu possa immaginare. Ma è una fonte di grande orgoglio essere in grado di allenare la Roma, sapendo che devi fare un buon lavoro equilibrato nel gestire l’esterno”.

“Nel 2001, quando ho giocato nella Roma dell’ultimo scudetto, c’è voluta capacità e fortuna per vincere il campionato. Il presidente Sensi aveva investito molti soldi e siamo stati un ottimo gruppo. Allo stesso tempo, per vincere titoli è necessario un grande spirito di squadra. Oltre ai grandi calciatori, quella squadra aveva grandi uomini”.

“La gente parla troppo facilmente di mentalità vincente, però. Prima di ciò, è necessario creare un ambiente vincente con regole, per poi avere una base su cui diventare vincitori”.

“Ci vuole tempo. Hai bisogno di costruire. Devi dare alle persone che arrivano tempo per lavorare. Nel calcio, spesso accade che la gente voglia tutto subito. Questo non ti permette di migliorare come squadra, come allenatore e come club”.

“Spero che sia quello che possiamo fare qui. Dobbiamo lavorare per cercare di raggiungere un obiettivo senza sottovalutare nulla. Nemmeno il più piccolo dettaglio. I dettagli sono ciò che fa la differenza. Questo vale per tutto. Anche chi taglia l’erba”.

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Atalanta-Roma 3-3, analisi del match.

Atlanta-Roma-3-3


Per la ventunesima giornata di campionato va in scena Atalanta-Roma. Dopo la vittoria in coppa contro l’Entella e in campionato contro il Torino i giallorossi sembrano aver riacquistato fiducia.

Moduli

Vediamo i moduli di Atalanta-Roma. La squadra di casa si dispone con un 1-3-4-1-2

in fase di possesso palla, con i due esterni che vanno a comporre una difesa a 5 in fase di non possesso.

La Roma invece si dispone con il suo classico 1-4-2-3-1


Fase offensiva.

Vediamo ora le fasi offensive delle due squadre in Atalanta-Roma.Da un punto di vista offensivo i capitolini hanno sfruttato soprattutto la fascia destra (60% degli attacchi) grazie alle proiezioni offensive di Karsdorp e Zaniolo. Sull’altra fascia Kolarov ha toccato più palloni ma si è proposto meno volte in fase offensiva, soprattutto nella ripresa. A centrocampo invece i continui inserimenti di Pellegrini si sono accompagnati ai movimenti a venire incontro al pallone di Dzeko, che ha svolto sia il ruolo di finalizzatore che di rifinitore.

VIDEO 1

L’Atalanta nel primo tempo non è sempre riuscita a coprire bene gli spazi con i movimenti giusti, e la Roma è riuscita ad approfittarne.


Anche nel terzo gol romanista Dzeko ha avuto molto spazio per poter servire i compagni che si inserivano.



Fase difensiva.

Dal punto di vista difensivo invece la Roma è riuscita nel primo tempo a pressare molto alta i padroni di casa, mettendo in difficoltà la costruzione del gioco degli orobici.


Non sono mancate però, come spesso succede in questa stagione, distrazioni difensive sia individuali che di reparto, come nel primo gol atalantino.


La squadra di casa ha cercato anche gli inserimenti di difensori per sorprendere i giallorossi, approfittando dell’abilità di Gomez di svariare e fornire assist molto precisi.


In occasione del terzo gol atalantino ,subito dopo il rigore sbagliato di Zapata, la squadra romanista ha avuto l’ennesima distrazione (rilancio sbagliato di Kolarov) che ha consentito il pareggio.


Nella ripresa comunque la Roma ha calato moltissimo l’intensità di gioco non riuscendo quasi mai a superare la metà campo, e costringendo quindi l’allenatore ha cambiare modulo passando al 1-5-3-2 nel tentativo di limitare i danni.


I giallorossi, dopo un buon primo tempo, hanno dato l’impressione di una condizione fisica e mentale insufficiente, riuscendo a strappare con molta fatica un pareggio dopo essersi fatta rimontare 3 gol. I tanti infortuni ed i carichi di lavoro del periodo invernale possono contribuire a spiegare tale prestazione, ma gli errori di concentrazione denotano una personalità ancora da migliorare molto.

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Empoli-Roma, analisi del match.

Roma-Empoli

Nell’ultima giornata di campionato c’è stata la sfida allo stadio Carlo Castellani l’Empoli-Roma. I giallorossi vengono dalle vittorie con la Lazio in campionato e con i cechi del Viktoria Plzen, mentre l’Empoli ha perso con il Parma nell’ultima giornata di campionato. Partita giocata con un clima ideale, situazione che ha consentito ad ognuna delle due squadre di compiere 108 km in totale.

La Roma si schiera col suo tipico modulo delle ultime partite,
1-4-2-3-1


L’Empoli invece si schiera con 1-4-3-2-1,


con Krunic e Zajc liberi di scambiarsi la posizione e Caputo terminale offensivo sempre pronto a muoversi in profondità.
Vediamo infatti come nel video 1 e 2

 

l’attaccante empolese cerchi sempre di consentire una verticalizzazione veloce della manovra. Da questo punto di vista possiamo osservare invece come il centravanti giallorosso, Dzeko, abbia caratteristiche molto diverse abbassandosi spesso incontro al pallone in funzione di regista.

Entrambe le squadre difendono a zona sui calci d’angolo, come possiamo osservare nelle foto 3 e 4.

La costruzione del gioco della Roma a centrocampo si è basata sullo scambio di posizione frequente dei tre centrocampisti per cercarsi lo spazio.

La squadra giallorossa, pur nella ripresa arretrando di qualche metro il proprio baricentro, ha cercato comunque di tenere la difesa più alta possibile, come nel caso della foto 5

In fase difensiva i giallorossi hanno usufruito della capacità di De Rossi di coprire la difesa (attitudine che il centrocampista di Ostia ha molto sviluppata, a volte creando addirittura problemi difensivi come contro il Milan) come si vede nel video 6

L’Empoli, dal canto suo, ha cercato spesso il gioco sulle fasce soprattutto sulla destra, cercando di approfittare dell’inesperienza del talentuoso e giovane terzino sinistro romanista. Possiamo vedere due piccoli errori di lettura del gioco da parte di Pellegrini nella foto 6 e nel video 7

la Roma, vista la contemporanea assenza dei terzini titolari Kolarov e Florenzi, ha cercato ancora piu del solito la giocata per Dzeko, attaccando così per vie centrali con più frequenza, ben il 34% degli attacchi contro il 29% a destra ed il 37% a sinistra.
Dal 74° minuto, a seguito della sostituzione tra Jesus e Under, per coprirsi meglio la Roma è passata al modulo 1-3-4-1-2
Foto 7


Le statistiche della partita dicono che l’Empoli ha tirato in porta quanto la Roma, 4 volte a testa, e considerando il rigore sbagliato dai toscani e la traversa su punizione si può dire che il pareggio sarebbe stato il risultato più giusto.

STEFANO CHIAROTTINI 6

Zeman: “Giorgio Rossi persona eccezionale” (VIDEO)

Zeman-Giorgio-Rossi

Anche l’allenatore Boemo Zdenek Zeman ai funerali di Giorgio Rossi,  lo storico massaggiatore giallorosso scomparso ieri.

Tanto popolo giallorosso ai funerali di Giorgio Rossi. Presenti gli ex Zeman, Nela, TommasiCandela e Rossella Sensi. Per la Roma invece presente delegazione rappresentata da Totti, De Rossi, Di Francesco e Bruno Conti. Zeman intercettato all’esterno della chiesa ha rilasciato un breve ricordo:

“Era una persona eccezionale, sempre a disposizione di tutti. Troppo una brava persona”.

Un commosso De Rossi prende la parola durante la celebrazione e racconta:

“Quando è nata mia figlia ho scelto Giorgio per accompagnarmi in clinica. Abbiamo parlato tanto in quei giorni. Oggi lo voglio ringraziare per quello che ha fatto per noi. Non lo ringrazio come capitano della Roma, ma come il ragazzino che dimenticava la cinta o i calzini e lui mi dava la sua. Era una persona unica”.

Di seguito i ricordi di altri esponenti del presente e del passato romanista.

Di Francesco molto provato dice:

Oggi non avrei voluto parlare. Quando mi sono operato al polmone, lui è stato con me in sala operatoria tenendomi la mano, io avevo paura e lui mi stava accanto. Ha insegnato a tutti a essere se stessi nella vittoria e nella sconfitta. Lui mi chiamava ogni tanto anche quando ero via da Roma per dirmi “ti voglio bene”. Grazie Giorgio”.

Bello anche il ricordo di Bruno Conti, che ricorda l’episodio Manfredonia:

Un padre per tutti noi, un grande uomo e un grande professionista. Non voglio dimenticare quello che fece a Bologna, quando salvò la vita a Manfredonia. Giorgio era tutto per noi, era una persona che non ti faceva mai mancare nulla, sempre disponibile. Un padre per tutti”.

Anche Rossella Sensi ha voluto lasciare un ricordo per Rossi :

“Un uomo dolcissimo, un grande professionista che ha fatto tanto per la Roma, non solo nella nostra gestione ma anche prima. Per me è un dolore che si aggiunge ad un altro dolore”, la risposta della Sensi, che poco meno di una settimana fa ha detto addio anche alla madre Maria. Momento della Roma? Voglio parlare solo di Giorgio”.

 

 

 

SALVIO IMPARATO 12

Di Francesco e il perenne equivoco targato Roma

Di Francesco Roma

La storia di Eusebio Di Francesco sulla panchina giallorossa è una storia battistiana. Le discese ardite e le risalite rappresentano ormai una costante. Frutto di una nevrosi tattica e mentale di un contesto che non ha saputo cogliere dei momenti di possibile svolta. Ha avuto il limite di essere tratto in inganno da episodi estemporanei (leggasi “remuntada” ai danni del Barça) che, dal punto di vista tattico, hanno finito per aggiungere confusione su confusione, equivoco su equivoco.

Sgombrare subito il campo da un’etichetta che Eusebio si porta dietro: l’essere un discepolo di Zeman. Di Francesco (d’ora in avanti EDF) non è Zeman. Non lo è quando vince e non lo è quando perde. Non lo è per il semplice fatto che mentre il boemo ha da sempre proposto un modo di difendere volto ad attaccare la palla, altrettanto non si può dire per Di Francesco, che ha sempre parlato di doppia fase di gioco, abbinando ad alcuni principi tattici ben definiti una consistente parte del proprio tempo allo sviluppo del gioco. Vari sono, infatti, i vestiti tattici adottati dalla Roma: dal 4-3-3 al 4-2-3-1, passando per il 3-4-3, il 3-5-2 ed, in ultimo, il 3-4-1-2 che tanti problemi sta creando.

La duttilità tattica che EDF ha palesato, tuttavia, dà la sensazione di non aver determinato un upgrade nella crescita del tecnico, quanto più che altro un segno di una confusione frutto di un continuo compromesso tattico da ricercare all’interno dello spogliatoio e di un mercato su cui il tecnico dà la sensazione di avere ben poca voce in capitolo. A centrocampo, ad esempio, se vanno via Nainggolan e Strootman per essere rimpiazzati da Nzonzi, Cristante e da un Pastore a cui volente o nolente devi trovare una sistemazione in campo.

Ciò implica l’applicazione di differenti principi di gioco, diversi in modo radicale non soltanto rispetto a quelli che EDF ha declinato al Sassuolo, ma anche e soprattutto rispetto a quelli che la squadra ebbe a mostrare nella doppia sfida al Chelsea della scorsa Champions. Le due migliori recite della Roma del tecnico abruzzese. Aggressività sistematica sul portatore avversario, allargamento della manovra sugli esterni, Dzeko fulcro della manovra offensiva. I nuovi acquisti hanno nelle proprie corde un calcio differente, non fanno della rapidità il loro forte a beneficio di un calcio più ragionato e posizionale, al di là del discorso qualitativo.

La gara contro il Milan incarna altri equivoci, il primo dei quali il ricorso alla forzata convivenza Dzeko-Schick. Il primo, che ha bisogno di riempire da sé l’area di rigore, si ritrova costretto a dividere spazi e movimenti con il ceco il quale, spesso e volentieri, si ritrova ad essere servito come preferirebbe.
L’altro è la difesa a tre. Se con il Barcellona a bassa intensità è stata una carta vincente, lo è di meno contro squadre che praticano una pressione ultraoffensiva che stritola gli interni di centrocampo nell’uno contro uno e lascia i tre centrali spesso in parità numerica. In tanti prendono il DVD di Liverpool-Roma e studiano.

Ora pare EDF voglia tornare al 4-3-3. Se lo farà, deve essere consapevole del fatto che senza Strootman e Nainggolan dovrebbero essere portate avanti scelte pesanti e forse impopolari. E che non pochi riflessi potrebbero avere negli equilibri dello spogliatoio.

E Pastore? Rischia di diventare ancor più un equivoco.

Non c’è bene, grazie.

PAOLO BORDINO

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