Il sottrarsi ad un risposta, da parte di Jurgen Klopp, sul coronavirus, diventa un’inevitabile lezione alla folla di opinionisti ignoranti-arroganti, ma soprattutto non richiesti.
Oltre ad essere un grande allenatore, Klopp è un grande uomo. Basta ascoltarlo in questi pochi secondi per capire.🎙️ "Non è importante quello che dicono le persone famose, è giusto ascoltare chi è informato e non chi non ha conoscenze come me" 👏👏
Chiediamoci se un’opinione sacrosanta come questa di Klopp, che in un mondo sano dovrebbe e potrebbe però essere di tutti, venga invece a costituire praticamente un unicum. La verità è che viviamo in una bolla. In una realtà virtuale in cui si è chiamati a dover necessariamente metter bocca su tutto. Pretendere di avere ragione a prescindere dalla sostanza di ciò che poi accade. Trasformare ogni discussione in potenziale sfogo di frustrazione e gioco al massacro che non porta mai a nulla di concreto.
Questo perché ci viene insegnato ormai che sentirsi migliori vale decisamente di più che essere migliori. Che avere qualcosa da dire, sempre e comunque, è tanto obbligatorio quanto rifiutarsi di ammettere che esistono determinati ambiti e settori in cui bisognerebbe avere la forza di ascoltare, piuttosto che specchiarsi dal gradino più alto del proprio podio.
Il paradosso è che la lezione di umiltà debba arrivare da chi ha recentemente condotto la propria squadra sul tetto prima d’Europa e poi del mondo. Ma quando arrivi finalmente primo. Restando sempre fedele a te stesso. Andando nella direzione quasi opposta rispetto a quella che molti considerano unica o prioritaria. Allora è decisamente improbabile che tu possa farti cogliere impreparato di fronte alle regole imposte dal successo, che dicono automaticamente di te che devi essere un esempio ancora maggiore per tutti, non solo per i colleghi e gli addetti ai lavori.
Empatia, carisma, intelligenza e onestà intellettuale sempre. Ironia e leggerezza quando c’è da pesare e sdrammatizzare l’importanza esasperata di alcuni momenti e situazioni. Trasparenza, quando si riconosce la propria fallibilità e si ammettono i propri errori senza per questo sentirsi più fessi degli altri o aver paura di qualcosa da cui poter imparare.
La portata di un pensiero si stabilisce anche in base alla quantità di spunti che esso riesce a fornire. Avevano chiesto a Klopp soltanto se fosse o meno preoccupato. Ma per fortuna, come al solito, ci ha messo qualcosa di suo. Per sfortuna, invece, nonostante la rilevanza mediatica, sappiamo benissimo che il nostro resta il paese dei balocchi. Basta pochissimo per dimenticare e un’eternità per provare a cambiare. Tra il menefreghismo e il catastrofismo chi esce sempre sconfitto è il buon senso. Così come tra il prevenire e il curare dovremo sempre inchinarci all’eccellenza di chi ci cura. Influenzati e influenzabili da ben prima del coronavirus.
Maurizio Sarri esce allo scoperto, lo fa sulle pagine di Vanity Fair e liquida un po’ il personaggio dipinto dalla pagina che lo celebra e dai suoi tifosi. Un Sarri che non ti aspetti, ma che si intuiva per come ha lasciato Napoli.
RITORNO IN ITALIA
«Per noi italiani il richiamo di casa è forte. Senti che manca qualcosa. È stato un anno pesante. Comincio a sentire il peso degli amici lontani, dei genitori anziani che vedo di rado. Ma alla mia età faccio solo scelte professionali. Non potrò allenare 20 anni. È l’anagrafe a dirlo (…) È roba faticosa, la panchina. Quando torno a casa in Toscana mi sento un estraneo. Negli ultimi anni ci avrò dormito trenta notti».
FEDELTÀ AL NAPOLI
«I napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ho scelto l’estero l’anno scorso per non andare in una squadra italiana. La professione può portare ad altri percorsi, non cambierà il rapporto. Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei. Che vuol dire essere fedele? E se un giorno la società ti manda via? Che fai: resti fedele a una moglie da cui hai divorziato? L’ultima bandiera è stata Totti, in futuro ne avremo zero».
ASPETTI NEGATIVI IN ITALIA
«Il concetto di vittoria a ogni costo. Un’estremizzazione che annebbia le menti dei tifosi e di alcuni dirigenti – cosa che mi preoccupa di più. È sport, non ha senso. Non si può essere scontenti di un secondo posto».
SARRISMO E SOCIAL
«È un modo di giocare a calcio e basta. Nasce dagli schiaffi presi. L’evoluzione è figlia delle sconfitte. Non solo nel calcio. Io dopo una vittoria non so gioire. Chi vince, resta fermo nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti. Mio nipote mi fa leggere la pagina facebook Sarrismo e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social, non ho nemmeno whatsapp».
LA POLITICA
«Nel calcio ci si schiera poco. Per non trovarsi qualcuno contro. La mia estrazione è nota. Papà era gruista all’Italsider di Bagnoli. Mio nonno era partigiano, salvò due aviatori americani abbattuti dai nazisti, li tenne in casa per due mesi. È normale che avessi certe idee, oggi la politica non mi interessa più. Vedo storie di una tristezza estrema. Da lontano l’Italia è un posto che spreca occasioni».
ALLENARE CAMPIONI
«Esistono squadre medie di grandi giocatori o grandi squadre di giocatori medi. Io lavoro su questo. Il fuoriclasse è quello a disposizione della squadra, altrimenti è solo un bravo giocatore. Siamo pieni di palleggiatori fenomenali. Pure ai semafori. Il divertimento è contagioso se collettivo. Se ti diverti da solo, in 5 minuti arriva la noia».
SENZA LA TUTA
«Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare. A me fanno tenerezza i giovani colleghi del campionato Primavera che portano la cravatta su campi improponibili. Mi fanno tristezza, sinceramente».
SUPERSTIZIONI
«Ne ho meno di quelle che mi attribuiscono. Ho smesso di vestire solo di nero. Mi è rimasta l’abitudine di non mettere piede in campo, dentro le linee dico, finché la partita non è finita. Prima o poi abbandonerò pure questa: già in certi stadi le panchine son dalla parte opposta degli spogliatoi e il prato devo calpestarlo per forza. Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono».
L’occasione è una cena di compleanno per i 72 anni del Maestro Boemo Zdenek Zeman, che si concede ad un’ampia chiacchierata alla Gazzetta Dello Sport.
L’occasione è festeggiare con qualche giorno di ritardo il compleanno: la carta di identità recita 72, portati alla grandissima. Zeman regala la mitica smorfia con le labbra e rifà i conti: “Io me ne sento 40, non di più”. Quando sei a cena con “Il mister” devi mettere in conto due cose. La prima è essere interrotti continuamente per foto, autografi e strette di mano cui si concede sempre con grande disponibilità. La seconda è che la cena si divide sempre in un primo tempo al coperto, e un secondo (dolce, caffé, amaro) in un tavolino all’aperto, perché la sigaretta chiama. E non fa differenza se è una serata di maggio che pare novembre. “Che faccio? Tiro palline… (traduzione, gioco a golf, ndr) e vedo calcio, anche se mi diverte poco. E aspetto la chiamata giusta. Le tre quattro ricevute quest’anno non lo erano”.
Come è stata questa stagione vista da fuori?
“Brutta, dice con sincerità Zeman, perché in 50 anni sono stato fermo poche volte. In più non è stato un anno di grande calcio in Italia. Tra le cose positive la Nazionale che sta cambiando mentalità”.
La lotta scudetto è finita presto.
“Sono otto anni che finisce prima di cominciare”.
Come giudica la stagione di Ronaldo?
“Un po’ peggio di quella di Quagliarella”.
Mister…
“È un campione. Ma il salto di qualità della Juve non c’è stato. Senza Ronaldo aveva raggiunto due finali di Champions”.
Da chi si aspettava di più?
“Forse dal Napoli di Ancelotti, ma aprire un nuovo ciclo non è facile. L’Inter si ritrova a lottare fino all’ultimo come l’anno scorso. Ha costruito poco. Mi aspettavo un calcio migliore”.
Cosa è successo alla Roma?
“Troppe cose non hanno funzionato. A partire dalla campagna acquisti, non mirata. Mi è dispiaciuto per Di Francesco ottimo ragazzo e tecnico. Se prendi uno come lui poi devi seguire le sue indicazioni. Ma oggi i tecnici contano poco”.
Dopo Totti la Roma ha salutato anche De Rossi
“Capisco la delusione dei tifosi, ma cerco di capire anche il club. Un giocatore che ha dato 18 anni alla Roma meriterebbe di decidere lui quando smettere. Ma il calcio di oggi non lo permette. Mi spiace che De Rossi abbia fatto con me la peggior stagione della sua carriera: non so ancora se per colpa mia o sua”.
Cosa salva del campionato?
“L’Atalanta, che gioca il calcio più europeo di tutte. La Coppa Italia della Lazio, la salvezza di Spal e Bologna. Mihajlovic ha cambiato mentalità alla squadra: con lui ha giocato sempre per vincere”.
Si aspettava quattro inglesi nelle finali di Coppa?
“Le inglesi hanno mentalità offensiva, giocano per fare un gol in più. E il loro campionato è più bello e divertente. Qui è l’opposto. Si gioca per non prenderle”
In Premier le prime 5 hanno tecnici stranieri: merito loro?
“Il contrario. Gli allenatori si adattano al calcio inglese. Se vediamo una vecchia partita del Barcellona e una oggi del City giocano un calcio diverso. La grandezza di Guardiola, il più bravo di tutti, è adattare la sua filosofia ai tornei in cui va”.
E Ten Hag con l’Ajax?
“Continua nel tracciato del grande Ajax, dove lanciano talenti. Ha idee e la possibilità di esprimerle. Oggi pochi allenatori hanno idee”.
Nulla di nuovo in Europa?
“A livello tecnico e tattico no. Ma la conferma che le squadre che vogliono proporre qualcosa, alla fine vanno avanti”.
Si è riproposta la divisione tra risultatisti e giochisti…
“E lo chiede a me? Un allenatore deve cercare di far divertire la gente. I risultati sono la conseguenza di quello che proponi. Chi gioca bene a lungo andare vince”.
Cosa pensa dell’idea della Superchampions?
“Che questo piano ammazzerebbe i campionati. È una corsa solo ai soldi ma il calcio per me è la passione della gente che può assistere alle partite. Trovo giusta la protesta dei club contrari”.
Quanto è difficile nell’era dei social entrare nelle teste dei giocatori?
“È molto più difficile. Ho cominciato che la squadra era una famiglia, si stava insieme, oggi il calcio è uno sport di 11 individui. Ognuno si fa gli interessi propri”.
Cosa pensa degli staff tecnici così allargati?
“Sono una esagerazione. Un allenatore non deve demandare troppo, ha lui il dovere di sapere tutto ciò che c’è da fare in campo”.
Il suo Lecce è tornato in A , il suo Palermo invece è retrocesso in C…
“Sono contento per la piazza di Lecce che vive di calcio. Sul Palermo ci sarebbe da parlare due giorni”.
È un suo cruccio non averlo allenato?
“Sì. Sono sempre stato convinto che avrei finito la mia carriera lì dove la cominciai da ragazzo…”.
Aspetta una nuova panchina?
“Passione, voglia e testa sono le stesse. Le mie idee e il mio calcio ancora moderni. Sei anni fa dissi che ero avanti 20 anni: resto in vantaggio di 14”.
Quando le candeline costano più della torta si cominciano a fare bilanci… Qual è la cosa più importante nella vita? E cosa la spaventa?
“La propria salute e quella di chi hai vicino. E di conseguenza mi spaventa la malattia. Ho vissuto in questi ultimi anni il dramma di mio figlio Andrea che ha affrontato con coraggio una grave malattia. In quel momento in cui hai paura che il corso della natura si stia rovesciando, nulla ha più un senso. Ogni certezza si sgretola. È stato uno shock di cui parlo solo ora perché si è risolto abbastanza bene. Ma solo chi ha vissuto qualcosa di simile può capire sensazioni, il vuoto, il male dentro che niente può attenuare finché le cose non tornano al loro posto”.
Guardando indietro ha rimpianti? Cambierebbe qualcosa?
“Non potrei farlo anche volendo. Ho commesso errori, confessa Zeman, ma chi non ha mai fatto cose di cui si è pentito? Sciocchezze però rispetto alla vita globale. Ho vissuto la mia come volevo e se ho sbagliato l’ho fatto in buona fede. C’è solo una ferita mai rimarginata, ma non per colpa mia…”.
Quale?
“Nell’estate del 1968 da Praga venni a Palermo con mia sorella per passare le vacanze con mio zio Čestmír Vycpálek. Scoppiò l’insurrezione politica che portò alla Primavera di Praga. E nella notte fra il 20 e il 21 agosto ci fu l’invasione sovietica. Rimasi in Italia senza poter tornare: per venti anni non ho più rivisto la mia famiglia. Venti anni senza ricordi. Non mi mancano coppe e scudetti, mi mancano quei 20 anni”.
E cosa chiede al futuro?
“La salute dei miei familiari e altri 20 anni per me. La carriera dipende da chi chiama ma spero ancora di ricevere l’affetto degli sportivi, il riconoscimento per quello che sono riuscito a dare e dire alla gente”.
Liverpool-Manchester City è stata una battaglia tattica. La squadra di Klopp e quella di Guardiola hanno dato vita ad un match atipico dal punto di vista dello spettacolo. L’ultima partita prima della pausa della Nations League si è giocata sul filo dei nervi. I due allenatori si sono dati battaglia sul piano tattico. E alla fine hanno prevalso la cura dei dettagli e la concentrazione nel disinnescare i punti di forza legati alla qualità offensiva.
Le due squadre sono arrivate all’ultimo appuntamento (Liverpool-City) di questo intensissimo periodo a pari punti in classifica, con lo scenario di un possibile primo posto in solitaria in caso di vittoria Il Liverpool di Klopp ha mostrato però nelle ultime uscite segnali di stanchezza, sia mentale che fisica. I Reds hanno allungato la rosa nella sessione estiva di mercato, ma il pensiero di dover affrontare, nel giro di dieci giorni, due volte il Chelsea, il Napoli e il Manchester City non ha certamente facilitato valutazioni in questo senso. Fatta eccezione, in parte, per la partita di Carabao Cup decisa dal capolavoro di Hazard, in campo sono scesi praticamente sempre gli stessi calciatori. E il calo di brillantezza e di lucidità può per questo essere definito fisiologico.
NAPOLI-LIVERPOOL
La partita di Champions al San Paolo contro il Napoli ha restituito in primis l’immagine del capolavoro tattico di Carlo Ancelotti. Ma ha anche mostrato un Liverpool decisamente spento per gli standard a cui siamo stati abituati, con gli zero tiri nello specchio che hanno fatto più di una notizia. Impegni così probanti e così ravvicinati hanno inevitabilmente messo a dura prova innanzitutto la possibilità di far rifiatare qualche elemento di rilievo. Poi, come conseguenza diretta, la capacità di correre e far correre il pallone più e meglio degli avversari. E nonostante queste evidenti difficoltà, i Reds hanno ceduto al Napoli solamente al 90′. Hanno condiviso un punto proprio ieri con il City, e avrebbero certamente meritato qualcosa in più allo Stamford Bridge. Da cui è comunque uscito con un punto.
IL PERCORSO DEL CITY
Il Manchester City, invece, è arrivato ad Anfield dopo aver superato, con più di un brivido dopo la sconfitta interna alla prima col Lione, l’Hoffenheim di Nagelsmann in Champions. La squadra di Guardiola non ha dovuto fronteggiare avversari particolarmente temibili in campionato, escluso un Arsenal non ancora rodato alla prima giornata. Calendario molto diverso rispetto a quello del Liverpool, che oltre ai dieci giorni infernali già citati, ha raggiunto i 20 punti in classifica affrontando già il Tottenham a Wembley, il Chelsea allo Stamford Bridge, e il City appunto ieri. Vincendo la prima e pareggiando le altre due.
LiVERPOOL-CITY, LA PARTITA
I 90 minuti di ieri sono stati produttivi per gli appassionati di tattica. Sulla carta abbiamo giustamente sottolineato come lo 0-0 possa definirsi risultato atipico. Cosa difficile da mettere in dubbio. Ma il momento particolare di forma degli uomini di Klopp e la particolare attenzione con cui Guardiola avrebbe approcciato a questo tipo di partita e allo scontro con l’allenatore tedesco, dopo le ultime non confortanti uscite e lo score a sfavore, qualche indizio avrebbero potuto fornircelo.
Sono scesi in campo praticamente i due 11 tipo. Unica novità nel Liverpool in difesa, con Joe Gomez dirottato sulla destra al posto di Alexander Arnold, e Lovren, il migliore in campo, al centro della difesa. Nelle file del City, con De Bruyne sempre fuori e Gundogan indisponibile, spazio a Mahrez esterno alto a destra, con David Silva e Fernandinho mediani.
Liverpool (4-3-3): Alisson; Gomez, Lovren, Van Dijk, Robertson; Henderson, Milner, Wijnaldum, Salah, Firmino, Manè.
Manchester City (4-2-3-1): Ederson; Walker, Stones, Laporte, Mendy; D. Silva, Fernandindo, Mahrez, B. Silva, Sterling; Aguero.
L’avvio di partita ai soliti devastanti ritmi da parte del Liverpool ha dato la sensazione di rievocare parzialmente le ultime uscite ad Anfield tra queste due squadre. Pressing asfissiante, recupero delle seconde palle e verticalità immediata: le armi che hanno da sempre messo in difficoltà anche un signore della tattica come Guardiola. Ma questa volta il piano gara dello spagnolo è emerso con più convinzione e chiarezza. L’occupazione degli spazi da parte dei suoi calciatori è stata esemplare. Una volta assorbita senza sbavature la forza propulsiva iniziale dei Reds, il Manchester City è riuscito a prendere controllo del pallone con maggiore continuità, e a impedire al trio offensivo dei Reds di essere pericoloso con le solite combinazioni. Laporte, in particolar modo, decisamente sugli scudi e perfetto in tutte le situazioni e nelle letture.
La notizia decisamente positiva in chiave Liverpool però, a dispetto delle stagioni precedenti, è legata proprio alla trovata compattezza verticale della squadra, oltre alla solidità difensiva data dalla guida di un colosso come Van Dijk. Questo è il primo aspetto che ha permesso ai Reds di uscire indenni e di far sue partite che, con la stanchezza e la sterilità dell’ultimo periodo, in passato probabilmente avrebbe perso.
Le rette delle due squadre si sono intersecate e hanno finito per annullarsi a vicenda, oscurando le fluide connessioni tra i giocatori e quindi l’alto indice di pericolosità offensiva. Soprattutto nella ripresa, la squadra che ha dato la sensazione di poter avere la meglio è stata quella di Guardiola. I Citizens hanno avuto un controllo maggiore della gara, e con il calo di intensità del Liverpool, hanno iniziato ad uscire con continuità e in maniera pulita costruendo da dietro.
La chiave tattica, in ottica futura, potrebbe forse essere questa. Superare il primo pressing dei Reds. Alzare leggermente il terzino sinistro, asimmetrico rispetto al destro. Cambiare gioco proprio sul lato mancino mandando in fumo il collasso degli uomini di Klopp sul lato palla. Aprirsi il campo colpendo il Liverpool a palla scoperta. La strategia di Guardiola, con Mendy, ha dato la sensazione di aver preso spunto da quella vittoriosa di Ancelotti con Mario Rui.
Il paradosso della prestazione difensiva del Liverpool è arrivato dall’ottima partita di Lovren. Il croato è stato probabilmente il migliore in campo, con 8 duelli vinti, 5 tackles e l’87% di precisione dei passaggi. L’immagine che ogni volta restituisce è quella di un difensore centrale sulla carta completo, ma sempre troppo umorale e istintivo per poter essere veramente definito affidabile. Van Dijk, invece, guida eccelsa del reparto, si è reso protagonista del fallo da rigore su Sanè, poi calciato alle stelle da Mahrez. Curioso constatare come si sarebbero potuti associare arbitrariamente al contrario il dato iniziale e la seconda infrazione.
KLOPP VS PEP
Jurgen Klopp è l’allenatore ad aver battuto più volte Pep Guardiola. Su 15 partite disputate, con il pareggio di ieri le vittorie sono rimaste 8. La vera inversione di tendenza però punta a raggiungerla proprio il tedesco. Arrivare prima del collega spagnolo alla fine del campionato. E prima del Chelsea, del Tottenham e dell’Arsenal. La classifica è fantastica, con Manchester City, Chelsea e Liverpool a quota 20, seguite da Tottenham e Arsenal a 18. Avevamo detto che gli ingredienti per una corsa più elettrizzante ed equilibrata rispetto agli ultimi anni sembravano poter esserci tutti. Per il momento la sensazione è che il campo voglia e possa darci anche qualcosa in più in questo senso.
Maurizio Sarri ha parlato in conferenza stampa alla vigilia del secondo match in quattro giorni contro il Liverpool. Qualche riflessione su Hazard e parole importanti per Klopp e la sua squadra.
HAZARD
Sarri esordisce in conferenza stampa rispondendo a domande su Eden Hazard. “Hazard in questo momento non so se è il miglior giocatore al mondo, ma sicuramente è uno dei più forti”. Questa la premessa di Sarri, che si sofferma però su un aspetto in particolare. “Credo che ogni giocatore preferisca giocare piuttosto che allenarsi senza il pallone, è normale. Ma Eden deve avere più continuità dal punto di vista fisico e mentale, perché penso che abbia le carte in regola per migliorare ancora. Può diventare il migliore al mondo già dal prossimo anno, io voglio che lo diventi. E’ molto difficile paragonarlo ad altri calciatori. Per me è un genio e tecnicamente unico”.
PARTITA
Sarri prosegue poi parlando delle aspettative sul match di domani. “Domani sarà un’altra partita, in un’altra competizione, con formazioni completamente diverse. Penso che loro possano aumentare la determinazione dopo mercoledì. E’ stato un match complicato e lo sarà anche domani. Credo che di solito si parta per vincere, sarà una partita aperta ed equilibrata. Fino a questo momento le cose stanno andando abbastanza bene. I ragazzi hanno risposto più velocemente di quanto mi aspettassi, e sicuramente ora non siamo ancora al 100%, ma abbiamo margini di miglioramento sotto tutti i punti di vista. Compreso quello tattico. Giocare con lo stesso avversario nel giro di tre giorni è molto complicato soprattutto dal punto di vista mentale”.
LIVERPOOL
Il tecnico del Chelsea spende poi parole importanti per Klopp e la sua squadra. “Klopp è certamente uno dei migliori allenatori al mondo in questo momento. Ha fatto molto bene l’anno scorso con questi giocatori, e credo che ora siano pronti per vincere. Che sia la Premier o la Champions, ma sicuramente qualcosa di importante.
Noi abbiamo un calendario complicato, ma anche per loro la settimana è delicata e importante. Dopo la partita di domani andranno a Napoli per la Champions, e il San Paolo non è uno stadio semplicissimo, e poi avranno il City”.
Per Sarri anche una battuta a questo proposito sulla strada che il suo Chelsea potrebbe tracciare al Napoli in vista del match di mercoledì. “Penso che il Napoli conosca benissimo il Liverpool. Mercoledì ho visto qualcuno del Napoli (sorride), quindi li stanno seguendo e conoscono già sicuramente tutto”.
INFORTUNI E SITUAZIONE CAHILL
Panoramica anche sulla condizione fisica di alcuni giocatori e sulle parole recenti di Cahill, che avrebbe manifestato la volontà di essere ceduto a gennaio. “Christensen non si è infortunato mercoledì, ha avuto solo un problema di stomaco durante la partita. Pedro si è allenato solo nella seconda sessione di allenamento di ieri, così come Rudiger e Loftus Cheek. Dobbiamo valutare nell’ultimo allenamento, ma la situazione è migliore rispetto a 3-4 giorni fa. L’unico giocatore che ho dovuto far giocare e che forse avrebbe potuto riposare è Kovacic. L’infortunio di Loftus è stato un problema anche per questo”.
Sarri commenta poi le dichiarazioni recenti di Cahill e la situazione attuale. “Ho parlato con Cahill, penso che abbiamo davanti i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Deve aspettare. Dobbiamo aspettare. Sono molto soddisfatto della prestazione di Gary di mercoledì, per me è un giocatore utile. Gennaio è ancora lontano. Vedremo”.
FORMAZIONE
“Per Rudiger e Pedro dobbiamo attendere l’ultimo allenamento per valutare. Le possibilità però ci sono soprattutto per il primo. Possiamo eventualmente giocare con Willian sulla destra, che è un altro grande giocatore che contro il West Ham ha fatto molto bene. Ma possiamo eventualmente anche spostare Eden lì. Il suo ultimo gol è arrivato proprio da quel lato lì, quindi non credo che ci siano problemi in questo senso”.
Pogba non ci sta e dopo il pareggio all’Old Trafford contro il Wolverhampton attacca il modo di interpretare le partite del proprio allenatore. Mourinho ora dovrà riflettere
“Era una partita che giocavamo in casa, avremmo dovuto fare meglio e soprattutto avremmo dovuto attaccare. A Old Trafford dobbiamo fare solo questo, attaccare, attaccare e attaccare, solo così potremo fare felici i nostri tifosi e avremo più possibilità di vincere. Proprio come abbiamo fatto lo scorso anno contro Tottenham, Arsenal, Chelsea e Liverpool. Perché non lo abbiamo fatto? Non posso parlarne perché sono un giocatore e non il manager – continua Pogba mandando un messaggio a Mourinho – ma dovremmo avere più opzioni di gioco. Adesso dobbiamo cambiare marcia, in casa facciamo troppi pochi punti e i primi posti sono già lontani».
Insomma parole che non piaceranno allo SpecialOne, la sua esperienza al Manchester United si fa sempre più in salita ed urge un’immediata inversione di tendenza. Il Liverpool ha già diciotto punti mentre i RedDevils ne hanno solo dieci. La carriera di Mourinho è ad un bivio ed è legata al destino dello United, riportarlo dove merita è l’unica strada per il portoghese per salvarsi dal declino.
La Premier League 2018/2019 sembra aver disposto tutte le carte in modo tale da rendere l’esito finale meno a senso unico rispetto alle due annate precedenti.
Se da un lato possiamo mettere in discussione quanto appena detto esponendo la regola del “non c’è due senza tre” e sottolineando come proprio le due stagioni prese in esame siano partite con le stesse premesse, poi tradite dal campo, dall’altro è lecito pensare che il dominio incontrastato del Manchester City quest’anno possa essere messo alla prova in maniera più concreta almeno dal Liverpool, assoluto protagonista del mercato in entrata. La squadra di Pep Guardiola è forse ad oggi la squadra più accreditata alla vittoria della Champions League. Questo potrebbe portare l’allenatore spagnolo a puntare più su quest’ultimo obiettivo, che non alla vittoria finale della Premier League. Fermo restando che con la lunghezza e la qualità della rosa a disposizione, l’idea di poter raggiungere entrambi gli obiettivi e di arrivare nel momento topico della stagione in corsa su tutti i fronti è assolutamente alla portata
IL LIVERPOOL DI KLOPP
La squadra di Klopp ha esposto radicalmente l’ambizione a cui il solido progetto a lungo termine partito tre anni fa intende arrivare. I Reds, sotto la guida del tecnico tedesco, sono cresciuti costantemente sia dal punto di vista del gioco che dei risultati. Le due finali europee messe a referto, purtroppo perse, ne sono una chiara testimonianza. Sia per il modo e che per le prestazioni a contrassegnarne il percorso. Sciolto finalmente e con ingiustificato ritardo il nodo portiere, con l’arrivo di Alisson, allungata quantitativamente e qualitativamente la rosa grazie a Fabinho, Naby Keita e Shaqiri, e affidate le chiavi della difesa all’imprescindibile Van Dijk, le premesse e le intenzioni sembrano piuttosto chiare e credibili. Salah, Manè e Firmino saranno chiamati a replicare o addirittura migliorare gli spaventosi numeri della scorsa stagione. Robertson e Alexander Arnold appaiono vestiti sempre più su misura dall’idea di calcio di Klopp. Joe Gomez invece sembra avere tutte le carte in regola per spodestare il non sempre affidabilissimo Lovren dalla casella di secondo centrale difensivo.
TOTTENHAM
Particolare attenzione ha poi sicuramente destato il Tottenham. Gli Spurs sono la prima squadra dal 2003 (anno in cui è stata introdotta la sessione estiva), a non aver effettuato nemmeno un’operazione di mercato, sia in entrata che in uscita. Guardando all’inizio di questo campionato e in particolar modo a quello di Lucas Moura, riesce però molto semplice pensare che un solo ma importantissimo acquisto, seppur attingendo alla sua stessa rosa, la squadra di Pochettino l’abbia comunque fatto. Il brasiliano può realmente essere l’uomo in più di quest’anno, considerando che l’assenza di Son, da sempre uno dei punti fermi, non è passata in secondo piano solamente per motivi extracalcistici, che per fortuna sua e degli Spurs si sono risolti nel miglior modo possibile. Il sacrificio economico per realizzare il nuovo stadio che verrà inaugurato proprio in questa stagione è stato sicuramente il motivo principale della fase di stallo di questa sessione di mercato. Pensare a dove il Tottenham possa effettivamente arrivare è legato ai soliti interrogativi. I margini di miglioramento che questo gruppo dimostrerà ancora di poter avere, sia in Premier che in Champions, e la crescita mentale di una squadra in grado ormai di giocare divinamente su qualsiasi campo, ma forse non ancora pienamente matura per certificare sempre la supremazia territoriale con il risultato e per portare a casa le partite meno brillanti dal punto di vista della prestazione. Se Pochettino, che già ha dimostrato di essere uno dei migliori allenatori in circolazione, riuscirà a trovare le risposte, l’asticella di questo gruppo potrà alzarsi ancora una volta.
IL CHELSEA DI SARRI
Le luci del palcoscenico di questa competizione sono abbastanza forti da poter illuminare efficacemente anche il nuovo Chelsea targato Maurizio Sarri. La posizione in classifica dopo queste prime quattro giornate, unite all’indiscusso valore assoluto della rosa e alla possibilità di vedere quest’ultima perfettamente inserita nel rigido sistema dell’ex allenatore del Napoli, lasciano presagire un campionato dai numeri e dalle soddisfazioni importanti. Analizzando le prime uscite stagionali risulta abbastanza evidente che la mano del tecnico inizia a dare i primi frutti. Diversi aspetti del gioco, tra cui sicuramente la volontà di dominare il possesso e di superare le linee di pressione costruendo dal basso e provando a smistare velocemente il pallone con l’obiettivo di verticalizzare al momento opportuno. Gli automatismi difensivi sono ancora da limare.
HAZARD E PEDRO L’ARMA IN PIU’
I dubbi più forti sono legati principalmente alla tenuta mentale e alla concentrazione che riuscirà a dimostrare David Luiz. Rudiger invece dà la sensazione di poter mettere in mostra i suoi enormi mezzi fisici e atletici sia nel difendere in avanti che nel rincorrere gli avversari all’indietro qualora i movimenti della linea non dovessero essere perfetti. La classifica per ora dice punteggio pieno. L’idea di calcio di Sarri si sta già intravedendo. E’ doveroso aggiungere però che il punto esclamativo su gran parte delle gare giocate non sarebbe probabilmente arrivato senza l’imprevedibilità e il tasso tecnico di calciatori come Hazard e lo stesso Pedro. Le caratteristiche dello spagnolo si sposano benissimo con il nuovo sistema di gioco, ma l’evoluzione e l’eventuale riuscita di questo progetto tecnico passeranno molto anche dalla capacità da parte di Sarri di capire che determinate individualità necessitano sempre delle chiavi grazie alle quali poter uscire dalla gabbia di schemi rigidi e codificati nei momenti topici delle gare. Spiegare l’importanza di Jorginho è abbastanza superfluo. Una delle cose più interessanti è sicuramente il nuovo compito a cui viene chiamato Kantè. I paragoni dal punto di vista tattico con Allan già si sprecano. Kovacic ha la grande occasione di dare finalmente una forma definita al suo enorme e inespresso talento. Marcos Alonso è ormai a tutti gli effetti uno dei migliori laterali mancini al mondo. La sorpresa è Willian, che sembra esaltarsi nel gioco del toscano. Il gol del 4-1 contro il Cardiff né un esempio lampante.
ARSENAL E IL RISCATTO DI EMERY
Dopo il fallimento alla guida del PSG, Unai Emery ha l’occasione del riscatto alla guida dell’Arsenal. Una squadra e una società che, succube probabilmente dell’incapacità da parte di Wenger di comprendere che il suo ciclo fosse finito già da qualche anno, è riuscita finalmente a ripartire puntando su un nuovo progetto tecnico. L’ambiente per l’allenatore spagnolo è quello ideale. Nessun tipo di pressione per quanto riguarda traguardi e risultati immediati, tempo a disposizione, e calciatori ai quali poter trasmettere il suo credo calcistico. Le possibilità di vedere un calcio veloce, verticale e di qualità non sono poi così basse. Il ciclo ha appena varcato la soglia dell’Emirates e la pazienza assolutamente necessaria per provare a costruire qualcosa che possa poi rendere il futuro credibile e ambizioso. Occhio a Guendouzi, centrocampista arrivato dalla Ligue 2 e lanciato a sorpresa titolare in mezzo al campo.
SPECIAL ONE AI TITOLI DI CODA?
Il matrimonio tra Mourinho e il Manchester United sembra invece sul punto di terminare ogni giorno che passa. Cercare di capire quali possano essere le reali aspettative di questa stagione per i Red Devils è in questo momento molto complicato. Sarebbe veramente un peccato però che la carriera di un tecnico che è stato grandissimo e che è di diritto nella storia di questo sport, ma che dalla mancata Decima con il Real allena quasi formalmente, possa chiudersi con una piega così disastrosa.
WEST HAM ED EVERTON
Le realtà di medio livello interessanti come ogni anno non mancano all’appello. Guardando esclusivamente agli organici, le due squadre che sulla carta potrebbero dire la loro subito dopo le migliori sono sicuramente il West Ham e l’Everton. Se l’inizio degli Hammers è stato disastroso sotto quasi ogni punto di vista, quello dell’Everton sembra invece rispecchiare maggiormente le importanti aspettative. Marco Silva, non poteva scegliere forse squadra e momento migliore di questo per trovare conferme e prendere il volo. L’arrivo di Richarlison, possibile crack di questa stagione, sponsorizzato proprio dal tecnico portoghese, è un buon punto di partenza.
BOURNEMUTH, LEICESTER E FULHAM
Un’attenzione di riguardo, oltre al solito Bournemouth di Eddie Howe e all’ottimo organico del Leicester, merita il neopromosso Fulham di Jokanovic. Una squadra dalla mentalità propositiva e dal gioco molto interessante, portata a non snaturarsi quasi mai a prescindere dall’avversario. Attorno alle figure del nuovo acquisto Seri, Schurrle, Mitrovic e soprattutto del giovanissimo Sessegnon, può costruire una stagione tutt’altro che anonima. In linea con la sua storia, la speranza è che il Craven Cottage sia tornato nel regno della Premier per restarci. Menzione, infine, al sorprendente Watford dello spagnolo Javi Gracia, a punteggio pieno. Insieme a Liverpool e Chelsea dopo quattro giornate, e capace di superare anche il Tottenham nell’ultimo turno. La squadra ha per ora impressionato per compattezza, organizzazione di gioco e capacità di rendersi pericolosa. Il campionato è appena iniziato, ma gli ingredienti per una stagione di personalità sembrano esserci.
LOTTA SALVEZZA
La lotta salvezza sarà combattuta come al solito, e ad eccezione del Cardiff, forse la meno attrezzata in questo momento per rimanere nella massima serie. La lotta vedrà coinvolti diversi personaggi, che ora è decisamente troppo presto per delineare. Terribile l’inizio del Burnley, che dopo il grandissimo campionato dello scorso anno, è uscito ai preliminari di Europa League. Ha perso tre partite su quattro. L’insolita vulnerabilità difensiva mostrata in queste prime uscite non fa altro che rimarcare come proprio la solidità e il reparto arretrato abbiano costruito gran parte delle fortune della scorsa stagione. Il Wolverhampton, vincitore della Championship, può dire la sua sfruttando il fattore campo. Propone un calcio tecnico e di posizione, frutto dell’ottimo lavoro di Nuno Espirito Santo e di un organico che ha come prima lingua il portoghese.