Karel Zeman, figlio del mito del 4-3-3 Zdenek Zeman, si è raccontato al Corriere Del Mezzogiorno.
Zeman è un congnome pesante. Specie se fai l’allenatore e sei l’erede del tecnico che ha lasciato un segno nel mondo del calcio. Ma Karel Zeman, classe 1977, non è solo il figlio di Zdenek. Non si è cullato sul cognome, ma ha nutrito i valori calcistici e familiari, con lo studio e l’esperienza. Oggi con il suo Lavello, secondo nel girone H della serie D secondo con il migliore attacco, contende a Taranto e Casarano la promozione diretta tra i professionisti.
Mister quanto sente sua questa squadra?
”Molto, come spesso accade quando una squadra assimila rapidamente le idee di un tecnico e le esprime in campo. A Lavello è accaduto molto rapidamente. Ora stiamo tornando ai livelli di inizio stagione.”
La partita migliore sinora?
”Quella di Sorrento, con una fase difensiva clamorosa a livello di aggressività e pressing, al di là dei tre gol subiti.”
Tra rinvii e recuperi, chi è la favorita e chi l’outsider?
”Casarano favorito, sin dall’inizio. Ma diamo merito al Taranto capolista e stiamo attenti all’Andria, al Picerno e al Bitonto.”
E il Lavello?
“Siamo già felicissimi di aver disputato un campionato che sta facendo parlare di questa realtà: non era facile per una neopromossa, malgrado una solida struttura.”
Karel papà Zdenek: questione di DNA?
”Per me allenare e la normalità. Da quando avevo due anni sono sempre stato in campo con lui, finché non sono diventato coetaneo dei calciatori. Ho sempre vissuto il calcio con l’atteggiamento di chi voleva studiarlo, da quando avevo sei anni. Crescendo non mi sono visto come prof. di lingue e lettarature straniere, ma in panchina a soffrire.”
Differenze e analogie con suo padre?
”Per me il suo calciò è il calcio. Però un allenatore ha un sacco di altre sfumature. Lui ha un modo di gestire, un carisma molto particolare. Io sono diverso da lui come persona, anche se condividiano gli stessi valori. E poi, siccome non mi piace copiare, ogni giornon studio e imparo.”
A 15 anni dalla prima panchina, in cosa è maturato?
“Che si può insegnare in tanti modi. E la strada per arrivare non è dritta, ma l’esperienza insegna come arrivare.”
Ricorda le prime chiacchierate di calcio con suo padre?
“Non ricordo la prima, ma ho avuto la colpa di aver voluto sempre commentare le partite che vedevo. E adesso, dopo che per 30 anni l’ho fatto io con lui, lo fa lui con me. Tempo il lunedì (sorride) perchè so che arriveranno i suoi commenti e le sue critiche.”
E’ un fedelissimo del 4-3-3 o si adegua in base ai giocatori?
”Ad inizio stagione, si ha tempo e modo di cercare i giocatori adeguati a ciò che si vuole proporre. Come abbiamo fatto a Lavello.”
Cos’è per lei il bel gioco?
”Il bel gioco è quando una squadra ha un’idea di quello che fa, non buttata a casaccio e ogni sua giocata esprime un’identità.”
Chi le piacerebbe allenare in A?
“Avendo casa nella capitale, arrivare a Roma o Lazio sarebbe fantastico. Come giocatori Muriel e De Paul.
Come si diventa Zeman oltre Zdenek?
“Con valori ed idee come solidi presupposti. Non mi sarei mai permesso di inziare questa carriera se non avessi saputo di poter dare qualcosa”.
