NAPOLI-SASSUOLO 6-1: OCCASIONE PERSA

Il Napoli batte il Sassuolo nel silenzio di uno Stadio Diego Armando Maradona. La goleada contro i neroverdi dimostra che avevano ragione i tifosi. La squadra poteva vincere lo scudetto ma non ne era convinta abbastanza.

1. UNA CHAMPIONS GUADAGNATA O UNO SCUDETTO PERSO?

Vittoria dal retrogusto amaro. Stagione dal sapore particolare: il Napoli non era la squadra più forte ma i suoi valori non sono apparsi nemmeno così distanti dalle squadre favorite. L’Inter e la Juventus per lignaggio e profondità di rosa; il Milan per dedizione e continuità di gioco.

Gli azzurri lo scudetto potevano vincerlo. Fattore psicologico determinante in negativo? Può darsi. Sta di fatto che l’allenatore più vicino a vincerlo, Sarri, lavorava in modo maniacale su gambe, gioco e testa dei calciatori.

Castelvolturno era un bunker, anche abbastanza blindato, e poco prodigo verso l’esterno. Una caserma.

2. IL PIGLIO DI SPALLETTI

Gli allenatori in grado di avere questo appiglio sono pochi.

Tra questi non rientra Spalletti che in conferenza stampa di presentazione dichiarò di non dover motivare nessun giocatore, perché il calciatore è un professionista e quando indossa certe maglie deve sapersi motivare da solo.

Legittimo crederla così, sia chiaro! Tuttavia, per questo, le società cercano di allestire una squadra dirigenziale che abbia la funzione di evitare cali di concentrazione o prestazioni timorose. Ma anche in quel caso bisogna saper scegliere.

Non basta prendere una vecchia gloria o un dirigente qualsiasi per risolvere il problema. Non tutti sono Marotta, per fortuna, o Maldini, purtroppo.

3. LA RICONFERMA DI SPALLETTI

Spalletti, perciò, merita di essere confermato, anche solo per aver raggiunto l’obiettivo agognato dalla società, ossia la Champions League.

Va però assecondato sul mercato e pungolato maggiormente dalla stampa: perché da Venezia – Napoli 0-2 in poi mica si è capito come volesse giocare e sfruttare Osimhen. O meglio come volesse far giocare il Napoli.

È stata una stagione da due facce: alcune partite giocate alla stregua della prima Roma di Luciano, quelle di Totti falso nove contornato da Perrotta, Taddei e Mancini; altre alla stregua del Napoli di Edy Reja ma senza la cattiveria adeguata.

Chissà… qual è allora l’identità con cui Spalletti vuole giocare al pallone? Fare dell’aggressione episodica alla seconda palla, abbandonata da Osimhen tra le linee di difesa e centrocampo, un must oppure mostrare al #DAM lo scintillante palleggio d’inizio stagione o di Gennaio o ancora della partita interna contro la Lazio, di oggi pomeriggio o del primo tempo contro il Sassuolo ma al Mapei Stadium?

4. LE DUE SOLUZIONI

Nel primo caso, occorre rendere centrale il centravanti nigeriano e non cederlo davanti alle offerte mirabolanti e forse ridisegnare la squadra sotto una stesura più “contiana”.

Nel secondo caso, allora, si può anche pensare di rinunciare a Victor, principe del Wakanda, per ricercare qualcosa che questa squadra già conosce il possesso palla… a costo di morire nella bellezza.

In entrambi i casi, a prescindere dal risultato stagionale, l’uomo in foto si è guadagnato a suon di gol la probabile riconferma. Uno dei pochi per comprensione del calcio a poter star bene in entrambe le strade tecniche da intraprendere. Va per i 36 e ormai i suoi contratti, quelli di Dries Ciro Mertens, sono annuali.

5. SPALLETTI VS MERTENS

Spalletti nel dubbio se rimpiangere le troppe panchine a cui lo ha costretto ha scelto di polemizzare ai microfoni Dazn circa le dichiarazioni del belga nell’immediato post partita.

Quest’ultimo ha derubricato la stagione in una grossa delusione. Si poteva vincere, secondo lui ma anche secondo Giovanni Di Lorenzo. Il mister ha in mano lo spogliatoio e i suoi pensieri? Ne asseconda prospettive ed auspici? Si profila un nuovo Totti e Icardi bis? Se la tensione esalta Spalletti, perché no? L’anno in cui fu definito “piccolo uomo” da Ilary Blasi ne mise a referto 87 di punti.

6. ALTRO INTERROGATIVO

Altro grande interrogativo è il seguente: se una volta formata una squadra (sul fatto che sarà forte pochi dubbi) omogenea, si potrà finalmente puntare al tricolore o quantomeno costringere la Federazione ad intervenire con arbitraggi chirurgici per tagliare agli azzurri le gambe?

Spero che Di Lorenzo e Mertens diano seguito alle proprie parole e non dimostrino sul campo le ragioni di Spalletti: meglio festeggiare la Champions che è andata di lusso.

Quest’anno, infatti, la squadra ha tolto al tifoso napoletano anche l’atavico vittimismo, visto che rispetto al recente passato non sono stati necessari nemmeno gli arbitraggi sfavorevoli e contrari per fermare il cammino partenopeo!

Questa qualificazione Champions non lascia nulla da festeggiare e nulla per cui piangere. Per una volta è veramente una Napoli che pensa “al di là del risultato”.

Massimo Scotto di Santolo

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Napoli – Bologna 3-0: cosa resterà degli anni ’80?

Il Napoli riaggancia il Milan in vetta alla classifica di serie A. Lo fa abusando di un Bologna rimaneggiato e risultato non impegnativo come avversario. I rossoneri e i partenopei, pari a quota 28 punti, hanno creato il vuoto intorno a sé. La prima è l’Inter a -7. Il Napoli ha la miglior difesa con sole tre reti subite mentre il Milan il migliore attacco con 23 reti. Sembra improvvisamente tornati alle sfide di fine anni ’80 dove Maradona sfidava il Milan di Sacchi per i massimi traguardi calcistici.

1. Napoli – Bologna

Il Milan nell’anticipo del turno infrasettimanale, di Martedì, vinceva soffrendo indicibilmente contro il nuovo tremendismo granata firmato da Juric. I rossoneri si portavano a 28 punti e lasciavano al Napoli, impegnato il Giovedì, l’onere di dover rispondere.

Il Napoli per dichiararsi presente alla volata in vetta avrebbe dovuto battere il Bologna. Battuto nel turno precedente proprio dal Milan all’interno di una partita romanzo che ha visto i felsinei tenere testa alla squadra di Pioli nonostante la doppia inferiorità numerica. Gli infortuni e le squalifiche hanno consegnato alle fauci di Spalletti un Bologna raffazonato in questa sua nuova versione da 352.

L’assenza di Soriano, il regista ombra della squadra, e di Soumarò, il perno della difesa a 3 e l’unico in grado nelle premesse di poter tenere la fisicità di Osimhen, e infine anche di Arnautovic, il centroavanti di manovra tanto richiesto da Mihaijlovic durante la sessione estiva di mercato, hanno indebolito parecchio il Bologna.

Il Napoli dal canto suo ha disputato partita sublime, schiacciando l’avversario dal primo all’ultimo minuto attraverso un recupero palla immediato e rinculate puntuali e vigorose. Capeggiate dal “pogbeggiante” Anguissa e da una squadra vogliosa di sbranare l’avversario.

2. I gol!

E così è stato: riconquista della sfera in avanti da parte di Lozano su passaggio errato in uscita da Svanberg. Il messicano serve Elmas che trasmette il pallone in modo veloce ma sporco al sinistro libero di Fabian Ruiz, il quale sia piuma che ferro prima addomestica docilmente lo strumento e poi lo calcia con veemenza e parabolica precisione sotto la traversa. Skorupski non può nulla ed è 1-0.

L’accerchiamento dell’area felsinea è costante, continua, perenne. Alla fine la persistente presenza degli avanti azzurri e soprattutto di Osimhen nei pressi della porta costringe i difensori bolognesi a marcarli sempre più vicini e stretti. In tal senso, la marcatura di Medel su Osimhen sembra inevitabile ma troppo svantaggiosa per il vecchio mediano cileno. Infatti, quest’ultimo per compensare i cm di altezza di differenza su un cross d’Insigne allunga una mano, colpisce la palla. Rigore. A fine partita per il Napoli ne saranno due. Entrambi legittimi ai tempi del Var. Il secondo su calcio netto ma non intenso di Mbaye allo stinco di Osimhen.

Insigne li realizza entrambi trasformandoli alla sua maniera. Tiro rasoterra e angolato alla destra del portiere. Il fatto che i tiri siano a pelo d’erba compensa la prevedibilità della scelta e quindi le potenziali partenze in anticipo sul proprio fianco destro da parte dei portieri. E questa doppietta dalla linea della carità ripristina serenità su una vicenda che stava diventando pruriginosa, cioè quella della poca freddezza dal dischetto del capitano azzurro.

3. cosa resterà degli anni ’80?

La vittoria del Napoli restituisce una sfida dal sapore antico, una lotta al vertice tra i partenopei e il Milan. Una competizione per lo scudetto che riporta i più nostalgici agli anni non necessariamente meravigliosi – ma si sa il tempo del proprio genitore è sempre più verde – ma fortemente ricchi per una Italia borghese centrica e benestante. Quel benessere si manifestava nel calcio dove un costruttore meridionale, Corrado Ferlaino, poteva far sognare una Capitale del Sud, per l’appunto Napoli, costruendo una squadra destinata a far sudare le cd sette camicie al dream team ideato da Silvio Berlusconi.

Entrambe le compagini potevano permettersi giocatori in grado di vincere con agio Coppa Campioni e Coppa uefa – rispettivamente il Milan e il Napoli -. Oggi le squadre appaiate in vetta alla serie A sono ai margini del jest set calcistico internazionale. Il Napoli però da anni porta avanti un calcio internazionale, di ampio respiro offensivo. Il Milan, di nuovo potente, pare abbia una mentalità più italiana inculcata da Pioli. Squadra dedita alla lotta, al contropiede, che ama ricavare gol, vittorie e punti nella spazzatura della partita, sui duelli individuali vinti con fisicità e temperamento.

Per picchi di gioco, i rossoneri anche meglio del Napoli ma per continuità del dominio territoriale e soluzioni offensiva a disposizione gli azzurri si lasciano preferire. Eppure, in netta controtendenza alle identità delle due squadre è il Milan ad avere il migliore attacco mentre il Napoli a migliore difesa. I numeri difensivi napoletani sono spaziali: 3 gol subiti in 10 partite. A fine anno, con una media del genere, sarebbero appena 12.

Il Milan, ora, attende una doppia sfida non facile: prima la Roma del sempre più “liedholmiano” Mourinho e poi il derby contro l’Inter. Neroazzurri campioni in carica, indeboliti dalle cessioni estive di mercato e dallo sfortunato caso di Eriksen, ma con l’orgoglio e la rosa ampia dei primi della classe. E quindi non comodi, i ragazzi di Simone Inzaghi, a -7 dalla vetta.

Il Napoli, invece, affronterà contestualmente la Salernitana di Colantuono, che evoca derby regionali di anni non felice per i colori partenopei, e poi quell’Hellas Verona con cui i ragazzi di Spalletti persero qualche mese orsono qualificazione Champions e dignità. È un dolore nascosto giù nell’anima!

Massimo Scotto di Santolo

55

Roma – Napoli 0-0: la lupa cerbero frena il ciuccio

Che per il Napoli vincere anche a casa della Roma fosse divenuto complicato, lo si è compreso immediatamente dopo la disfatta giallorossa in terra norvegese. La goleada rifilata dal Bodo Glimt ai ragazzi di Mourinho ha compattato l’ambiente. Il tecnico portoghese ha reso la partita del Napoli un all in, un crocevia stagionale all’insegna del motto “no time to die”! Alla fine, i capitolini strappano ad un Napoli, più attento a non perdere che a vincere, un pari giusto e, per i giallorossi, balsamico all’interno di una partita comunque dai ritmi britannici e quindi godibile. Tiene banco in casa Napoli il momento nero di Zielinski. L’arbitro Massa, invece, ha contribuito alla fluidità del gioco con un arbitaggio all’inglese. Il divertimento trasmesso ai telespettatori dalla partita ha nascosto, tuttavia, una serie di decisioni arbitrali poi rivelatesi a freddo alquanto discutibili.

1. Sconfitte salutari

La Roma di Mourinho si è presentata all’avvio della stagione con una fisionomia in netta controtendenza alle abitudini del mister portoghese. Squadra verticale, quella capitolina, basata su un contropiede fulmineo e ritmi tambureggianti, ha fatto del gol e della sua ricerca un marchio di fabbrica della propria identità d’inizio di stagione.

Eppure l’iniziale entusiasmo su cui la Lupa volava e segnava si era improvvisamente interrotto. Dapprima è sopraggiunta l’inaspettata sconfitta contro l’hellas Verona e poi allo Juventus Stadium al cospetto dei bianconeri. Partita macchiata da un arbitraggio pessimo di Orsato. Infine, nel turno infrasettimanale, la squadra riserve dei capitolini si è completamente consegnata alla goleada della onesta squadra norvegese del Bodo Glimt. La Roma ne ha presi, infatti, sei e segnando una sola rete.

Mou ha approfittato della vicenda sportivamente tragica, lanciando un j’accuse alla bravura dei calciatori non titolari. Questo ha compattato l’ambiente e la squadra titolare in vista di un obiettivo immediato: il big match casalingo contro il Napoli. Il motto implicito che sembra aver accompagnato i giorni precedenti al match ricalca l’ultimo film sul più noto 007 della storia: “No time to die”. Tre sconfitte consecutive, di cui due contro dirette rivali del campionato (e una in casa) e di cui una subendo una goleada, avrebbero completamente incrinato il cammino di Mou nella capitale e forse anche il buon esito della stagione.

Il tecnico lusitano ha presentato il conto all’amico-nemico di tante battaglie ai tempi in cui Roma-Inter valeva uno scudetto, ossia Luciano Spalletti, che però siedeva sulla panchina che ora è la sua. Mourinho ha organizzato la squadra in modo tale che Osimhen venisse costantemente raddoppiato dalla coppia di centrali. Mancini gli copriva il corto. Ibanez, più veloce, marcava l’attacco alla profondità del nigeriano.

2. Un Napoli calcolatore

Spalletti aveva annusato tutti i pericoli della partita. E l’atteggiamento della squadra ne ha dato testimonianza. Tutti, da Koulibaly a Insigne, preoccupati di mantenere un decoro e contegno tattico affinché il Napoli più che vincere uscisse dall’Olimpico almeno non sconfitto. Merito alla strategia, perché così è stato. Ragionamento raziocinante quello azzurro: farsi acchiappare a pari 25 pt in classifica dal Milan vittorioso a Bologna e riconquistare il primato nelle prossime tre dove i rossoneri affrontano Torino, Roma e Inter mentre i partenopei Bologna, Salernitana e Verona. Inutile, dunque, si fa per dire stressare i giocatori alla ricerca di una vittoria in un contesto ambientale e tattico complesso.

Eppure il Napoli non ha snaturato il suo gioco. Ha prima provato ad imporre la sua manovra partendo dal basso con la ormai consolidata impostazione 4+1 o +2, per poi passare dinanzi al pressing ben organizzato della Roma, che lasciava spazi di manovra al tecnicamente meno dotato Rrahmani, al 3+2. Questo sistema andava a ricercare l’ampiezza della manovra da una parte con Mario Rui e dall’altra con Politano prima e Lozano poi.

Questa mossa ha dato il predominio territoriale e il possesso palla al Napoli. E nel momento migliore degli azzurri all’inizio della ripresa Osimhen ha la palla per sbloccarla ma più per sfortuna che per imprecisione fallisce. Una scorribanda di Abraham riaccende poco dopo la Roma e il pubblico di fede giallorossa. Il Napoli si ricorda che l’importante in questa partita è non perdere. Così si limita nuovamente a controllare il match attraverso una difesa che al momento pare impermeabile tra bravura e buona sorte.

3. Alcuni limiti offensivi del Napoli

Il Napoli sta avendo ultimamente maggiori difficoltà a segnare. Circostanze e studio delle contromosse da parte degli avversari influiscono. Osimhen ha incontrato in due delle ultime tre due degli unici cinque/sei difensori che possono tenerlo in uno contro uno in campo aperto, ossia Bremer e Ibanez.

Il vero limite parrebbe però l’incapacità del Napoli di trovare un uomo in grado di buttarsi alle spalle dei terzini sinistri avversari. Questi ultimi sono notoriamente attirati fuori dalla linea da Politano e Lozano che danno sempre ampiezza, raramente vengono dentro al campo a fare densità sulla trequarti. E Osimhen che abbisogna comunque del raddoppio tende a giocare maggiormente sul centrosinistra per poter dialogare con la catena tecnica del Napoli, formata da Mario Rui, Insigne e Zielinski.

Lo spazio che si crea sul centrodestra del Napoli, oltre la posizione di Politano e Lozano dovrebbe attaccarlo sullo sviluppo della manovra Anguissa, il quale però al momento, con il suo approccio posizionale al fianco di Fabian Ruiz, rappresenta uno dei segreti dell’impermeabilità difensiva azzurra.

Peraltro la Roma ha chiuso molto meglio di tanti avversari quel buco compattando la linea e lasciando solo lo sfogo laterale da ambedue i lati. Osimhen è più controllabile se costretto ad una partita di soli scontri fisici e colpi di testa. Servirebbe così l’imprevedibilità o l’accompagnamento di Zielinski che nelle sue scadenti prestazioni rappresenta la vera spina nel fianco del momento positivo del Napoli.

4. I trequartisti del Napoli

In realtà, l’appannamento della fantasia dei trequarti del Napoli, provenienti da una brillante stagione sotto l’egida di Gattuso, rappresenta scelta strategica da parte di Spalletti. Il mister di Certaldo ha disegnato il suo Napoli sulla massima del presidente De Laurentiis “un Napoli osimheniano”.

Le mezze punte azzurre sono tutte rivolte ad azionare Osimhen all’interno di un contesto in cui la prima preoccupazione è non subire gol. Può accadere che questo principio programmatico svilisca le follie degli avanti partenopei, ma quattro gol nelle ultime tre partite sono un sintomo non una malattia.

Peraltro, Zielinski, Elmas, Insigne e Lozano provengono tutti dalle fatiche con le nazionali e da un ritiro monco. Il polacco ha rimediato anche qualche acciacco che non sembra esser stato smaltito ottimamente. Lozano ha rischiato persino la vita con un infortunio che lo ha tenuto lontano dai campi per un mese proprio nel pieno della preparazione alla stagione. Non è un caso che i migliori per verve e freschezza muscolare siano Politano e Osimhen, gli unici ad aver svolto quasi due mesi di ritiro senza contrattempi. Ai quali anche Mertens, Petagna e Ounas hanno concesso tempo tra calciomercato e infermeria.

5. L’arbitro Massa

Una partita a scacchi tra Mou e Spalletti degna per il dinamismo di quella giocata da Ron ed Hermione in “Harry Potter e la pietra filosofale”. Come bambini davanti al divertimento, molti, prima di recuperare freddezza e lucidità hanno trascurato l’osceno arbitraggio di Massa. Designazione inopportuna visto che l’arbitro in questione proveniva da due precedenti sfortunati con il Napoli protagonista in sfide trascorse altrettanto importanti.

Massa fischiò a Firenze, due anni orsono, due rigori inesistenti per parte a Fiorentina e Napoli. Inoltre, espulse Insigne in una sfida scudetto a San Siro contro l’Inter. Inventò, in un Napoli-Lazio di quarti di finale di Coppa Italia, una espulsione ai danni di Lucas Leiva. Insomma ne aveva già combinate di cotte e di crude.

Ha chiuso la sua partita espellendo meritatamente Mourinho ma non Spalletti, scambiando a fine partita un applauso di complimenti del mister azzurro per una presa per i fondelli. Inoltre, ha completamente ignorato, insieme al Var, ben due episodi possibili da rigore. C’è un monitor per rivederli, perché non usarlo? Infine, ha graziato Abraham meritevole di essere espulso per due falli da gioco chiaramente sanzionabili con il giallo. Ha risparmiato a Vina un plateale giallo come ad Osimhen. Insomma… un fischietto che sa sempre scontentare tutti e che per fortuna non ha condizionato un pareggio divertente e giusto. I calciatori hanno saputo cancellarne dal campo ego e presunzione.

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Napoli – Torino 1-0: stairway to heaven

Il Milan in un ordinario Sabato sera vinceva, tra le mura amiche, in rimonta contro l’Hellas Verona. I rossoneri momentaneamente s’issavano al primo posto. Nel frattempo l’Inter perdeva ulteriore terreno, cedendo fuori casa 3-1 alla Lazio sarrista. Il Napoli in una partita infame per il valore del Toro di Juric e per il ricorrere post sosta nazionale trova la scala per il Paradiso, approfittando delle ormai larghissime spalle di Osimhen. Il nigeriano a due gradoni la volta, all’80esimo, sale fin sopra la traversa e di testa segna l’1-0. Che significa risoluzione di un match giocato male dal Napoli, il peggiore della stagione per le ragioni di cui sopra. Che significa, in vero, ancora primo posto in classifica e ottava vittoria consecutiva.

1. Il caos

Il peggior Napoli della stagione, anche meno brillante della trasferta di Genova, ma non per la voglia di vincerla. Anche perché a Firenze, a differenza del parere di molti, il Napoli ha giocato partita maestosa e completa.

Per il resto gli azzurri sono risultati approssimativi e confusionari dal punto di vista sia tattico – non sotto il profilo delle palle inattive che hanno prodotto ancora una volta tantissimo: stavolta un rigore – che tecnico. Il Napoli è cascato nella trappola del Torino. I granata vogliono sempre incutere nell’avversario questo caos in cui poi con il loro fisico andare a vincere duelli individuali e in scorribanda andare a fare male.

Un Napoli stanco, che perciò non è riuscito frequentemente ad elevarsi sopra tale caos con la tecnica. Così ha finito per concedere occasioni da gol agli avversari mai come prima d’ora. Eppure i partenopei hanno comunque prodotto un Xg quasi di due reti, mantenendo così inalterata la produzione offensiva rispetto alle uscite precedenti. Il Napoli, alla fine, ha realizzata soltanto una rete e succede, soprattutto quando la partita sembra ab origine infame tanto per il valore dell’avversario quanto per il ricorrere post sosta nazionale.

2. Insigne il rigorista

E la rete siglata dal Napoli è soltanto una perché Insigne sbaglia il 3 rigore su 5 in stagione. Altrove, a Milano ad esempio sponda rossonera – al momento i competitor diretti del Napoli per la vetta -, sarebbe un non problema.

L’anno scorso Ibra sbagliava con altrettanta frequenza i rigori. Anch’egli andava in scadenza a fine anno. Scelse di lasciare a Kessiè l’onere. La squadra ha continuato a volare lo stesso.

Il problema diventa grosso perché Insigne non è Ibra, non si autodefinisce Dio anche quando gioca male. Lorenzo si adombra e inizia a picconare la sua autostima. Inoltre, non sembrerebbe esserci un Kessiè pronto a supplirlo. O al momento non ne vedono gli esterni.

3. Stairway to heaven

Per un Napoli incapace di sbloccarla e in balia della fisicità granata ci ha pensato il giovane fuoriclasse Osi. Il nigeriano ha percorso tutte le scale che portano al Paradiso due gradoni alla volta e trafitto di testa il fratello meno famoso della famiglia Milinkovic Savic.

E tra le nuvole Victor ha portato con sé, sulle sue spalle, Bremer che nel marcarlo però ha dimostrato di essere un embrione di top difensore mondiale alla Cuti Romero. Ma ha anche portato in cima al cielo le paure derivanti dallo spauracchio Juric e dal suo gioco maschio e resiliente, che complice la fifa del Napoli di Gattuso ha privato gli azzurri di una Champions già conquistata. E poi queste paure le ha spinte giù in terra disintegrandole.

Juric di difensori se ne intende. Ha formato anche quello che oggi è stato il migliore del Napoli: Amir Rrahmani.

4. Il brodo

Ora a Spalletti tocca recuperare un Lozano rabbuiato da un cambio tattico (legittimo) del mister – ossia passare dal basico 442 al più 352 -, che però forse avrebbe dovuto rivolgere la sostituzione a Dries Mertens.

Il belga mette lo zampino nel gol ben prima del cambio modulo ma sembra ancora lontano dalla condizione migliore. La partita non permetteva certo di fargli prendere confidenza come abbisognerebbe.

E poi tocca recuperare alla causa i vari Demme, Lobotka e Manolas che allungano il brodo. Sta arrivando l’inverno e o’ bror è buono assaje.

Massimo Scotto di Santolo

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Napoli – Cagliari 2-0: Mazzarri ha ricordato Maginot

Il rientro di Walter Mazzarri nel calcio italiano è risultato fortemente negativo. Un pari e due sconfitte consecutive contro Empoli (scontro salvezza) e Napoli. Gli azzurri in questo momento sono difficilmente fermabili. Tuttavia, la proposta di calcio di Mazzarri è risultata antica e anacronistica. Dieci uomini dietro la linea del pallone anche sotto di due gol. Il Napoli in questa remissività ha consolidato il suo granitico primato di primo in classifica con sei vittorie consecutive.

1. Mazzarri come Maginot

Ormai sono un paio di anni che il Cagliari a fronte di una squadra dal buon valore calcistico lotta per la salvezza della categoria. Troppi i giocatori di prestigio, su cui si fonda la rosa, a fine corsa . Pochi i giovani talenti su cui fare affidamento per accendere il Nos del motore. Stavolta Giulini si è affidato a Mazzarri per tentare una salvezza tranquilla. E chissà se non anche il conseguimento di un centro classifico in terra sarda molto agognato.

Eppure Walter, a Napoli ricordato benissimo per la sua squadra resiliente, ha iniziato male. Un pari in casa di una Lazio in difficoltà e poi due sconfitte consecutive. Entrambe nette, contro l’Empoli in uno scontro salvezza casalingo e una contro il Napoli al Diego Armando Maradona. Quest’ultimo impegno sulla carta di per sé proibitivo.

Pertanto Mazzarri, che ha comunque informato di non aver potuto ancora innestare nella squadra i suoi principi di lavoro, ha badato soltanto a non prendere imbarcate. Le dichiarazioni del post gara in cui, secondo mister Walter, il Cagliari avrebbe fatto bene, rischiato di andare in vantaggio e concesso niente agli azzurri all’infuori dei due gol sono alquanto opinabili.

La tattica cagliaritana di schierare undici uomini costantemente dietro la linea della palla con un denso 352 si è rivelato progetto difensivamente ambizioso ma gracile e anacronistico. Come la linea Maginot. La Francia, ben prima della seconda guerra mondiale, immaginò un progetto militare, che prese il nome del Ministro della guerra di allora (per l’appunto Maginot), allo scopo di rendere invulnerabile da qualsiasi invasione l’entroterra francese.

Dieci anni dopo l’artiglieria e i panzer tedeschi mostreranno all’alba del secondo conflitto mondiale la fragilità del progetto francese suddetto. L’armata di Hitler sfonderà il confine franco tedesco, lungo il quale sorgeva la Maginot, e in pochi mesi prenderà Parigi. Gli storici riconducono le responsabilità di quel fallimento francese tra le altre all’incapacità di ammodernare un progetto divenuto nel frattempo lacunoso e non più al passo con i tempi. E’ parso di soffrire di medesima impotenza il calcio di Mazzarri.

2. Il piano tattico

Come è possibile da notare nell’immagine appena allegata, Mazzarri aveva studiato bene il Napoli. Nel tentativo però di arginarlo tutto, alla fine per il Cagliari la coperta è risultata corta. Gli azzurri nel costruire la manovra tendono a decentrarsi sul lato sinistro del campo per cercare il regista offensivo della squadra, Insigne. Lorenzo, ieri sera, ha raggiunto 400 presenze in maglia azzurra festeggiate con gol su rigore: bravo!

Mazzarri ha provato ad arginare il possesso palla azzurro, che si attiva quando Osimhen perde la profondità d’attaccare, chiedendo a Joao Pedro e Nandez pressione costante su Koulibaly e Mario Rui. Lykogiannis, quinto di centrocampo di sinistra, soffocava Di Lorenzo quando il terzino della nazionale agiva da quarto di difesa. Il greco invece non si alzava mai sul terzino destro azzurro quando quest’ultimo retrocedeva sulla linea di Rrahmani e Koulibaly. Così liberi dal pressing avversario risultavano soltanto Rrahmani e Di Lorenzo.

Rimaneva soltanto la scelta se raddoppiare o meno Osimhen. Al momento Mazzarri ha ritenuto fosse il caso e a posteriori ha fatto bene in un’ottica conservativa del passivo. A quel punto, con il Napoli e Osimhen che non rinunciavano a decentrarsi sulla sinistra e Politano, dall’altra parte, a mantenere l’ampiezza sulla destra… si liberava spazio enorme ed attaccabile tra Godin e Caceres. Che nella foto è segnalato da quadratino.

3. I due gol

Nello spazio evidenziato, dunque, all’inizio del primo tempo la mezz’ala sinistra azzurra Zielinski con un taglio profondissimo, da sinsitra verso destra, ha preso il tempo al suo diretto marcatore, il vertice basso cagliaritano Marin, e recuperato in fondo al campo un bel suggerimento appena lungo del dominante Anguissa. Giusto in tempo il polacco riesce a crossare la palla diretta sul fondo per un Osimhen bruciante. Il nigeriano si smarca dalla doppia marcatura di Godin e Waluckiewicz e deposita il tap in dell’uno a zero.

All’inizio del secondo tempo, altra partenza forte del Napoli. E qui si capisce il perché regalare raddoppiare Osimhen. Sempre nello stesso spazio evidenziato, il 9 partenopeo cerca suggerimento nei piedi e non nello spazio. Il passaggio arriva. Godin è costretto a seguirlo e a perdere l’appoggio del raddoppio. A quel punto il difensore uruguayano e l’attaccante africano ingaggiano un duello corpo a corpo. Finta di Osimhen. Deretano in terra di Godin. Rigore per il Napoli occorso pressoché nella stessa zolla di erba dove Zielinski ha fornito l’assist del vantaggio. Insigne realizza.

Il resto è gestione ed accademia da parte del Napoli, che avrebbe dovuto triplicare e non facendolo forse sporca una prestazione altrimenti perfetta… anche nel riuscire a sfruttare, pur di vincere, spazi e centimetri lasciati a disposizione dagli avversari ad un palmo dalla linea di fondo. Si tratta di speculazione morbosa del dettaglio. A dire il vero è ossessione tecnico-tattica che piace!

Massimo Scotto di Santolo

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Sampdoria – Napoli 0-4: Napoli, gimme five

Secondo 0-4 consecutivo. E’ un Napoli imbattuto e scintillante. Trasferte insidiose erano quelle di Udine e Genova ma il Napoli ha maramaldeggiato in casa sia dell’Udinese che della Sampdoria. Quanto il Napoli è forte lo si scoprirà nel momento delle difficoltà. Ad oggi è ingiocabile; ingiocabile il Napoli, perché si esalta non solo nella giocata offensiva ma anche nella capacità di soffrire di fronte alla bravura avversaria.

1. Il primo tempo

Al momento il Napoli è ingiocabile. Quando finirà la striscia di vittorie consecutive, verranno quindi fuori i veri valori di una rosa che al momento schianta chiunque pur avendo una squadra, causa infortuni, ancora al 70%. Tanti gli infortunati.

La Samp, dal canto suo, ha giocato 50 minuti di buona fattura. Sul piano della prestazione la migliore avversaria fino ad ora incontrata dai partenopei. Alla fine del 1T erano i blucerchiati ad avere maggiore possesso palla e più tiri a referto. Ospina severamente impegnato ha fatto grande prestazione trovandosi pronto quando chiamato in causa.

E però D’Aversa per proporre un gioco così intenso e offensivo, la cui esigenza nasce dalla perenne necessità blucerchiata di stanziare nella metà campo avversaria per poter reggere e favorire due attaccanti non contropiedisti e piuttosto anziani come Caputo e Quagliarella, concede spazio alle spalle della linea difensiva.

Così i primi 10 minuti Yoshida si trova in uno contro uno con Osimhen e scopre di praticare sport diverso dal nigeriano. Quest’ultimo prima gli mangia metri in campo aperto ma poi spreca a tu per tu con Audero, poi realizza lo 0-1 sfilando alle spalle del giapponese sulla gittata arcuata di Insigne un tempo destinata a Callejon.

D’Aversa capisce che rischia la goleada – che poi comunque subirà – e mette la copertura preventiva su Osimhen, bloccando il terzino destro doriano in fase di proposta offensiva. Da una sorta di 3412 sampdoriano, poco simmetrico, nascono i pericoli per Ospina e le annesse parate importanti di cui si diceva.

2. La mediana del Napoli

Ma nel miglior momento della doria Redondo, al secolo Fabian Ruiz, trova stile Tiger Woods sull’ennesima transizione offensiva la buca impossibile da raggiungere per Audero. Non si sa come ma con fulminea e cinica bellezza, rafforzata dalla capacità di soffrire e non indebolita dal morire nella stessa, è 0-2!

Dello spagnolo si è detto che fosse inadeguata scelta per sostituire Jorginho. Ora l’italo-brasiliano è ancora di altro livello ma Fabian ha carte in regola per raggiungere quelle vette. All’epoca l’operazione fu lungimirante, meno l’incapacità di lavorare sul giocatore sia di Ancelotti che di Gattuso.

Spalletti in 6 partite ha dimostrato che può giocare in una mediana a 2 ma questo già l’aveva detto Ancelotti – memore del 4231 Spagna u21 campione d’europa in cui Ruiz scherzava con i pari età -. Fabian può giocare sul centro sinistra e non per forza sul centro destra – dove non necessariamente a ragione si vede Fabian stesso -. E può comporre una mediana a 2 se al suo fianco agiscono giocatori come Demme o Zambo in grado di coprire metà globo terrestre con la propria corsa.

Il centrocampista spagnolo ha dimostrato che in situazione di prima impostazione, quando la linea difensiva si dispone a 4, può fare il vertice basso e farlo anche in fase difensiva, durante la quale molto spesso il trequarti Elmas o Zielinski retrocedono sulla linea di Anguissa per formare centrocampo a 3.

Anguissa, accompagnato dalla sindrome del tale e quale a Bakayoko, prestazione su prestazione sta marcando differenza con il francese e nobilitando la campagna acquisti di Giuntoli presente e passata.

Ds fin troppo criticato, che sicuramente ha commesso qualche errore, ma chiamato a gestire un ricambio generazionale già da un po’ sta vedendo germogliare la semina effettuata nelle sessioni di mercato precedenti. E se Anguissa dovesse continuare su questi livelli, Giuntoli si prende la palma di migliore Ds della stagione.

3. Il secondo tempo

La Samp prova anche nel secondo tempo, con volontà, a proseguire sulla scorta del primo. Tuttavia, appena lascia spazio – che copra preventivamente a 3 o a 2 – subisce un gol. Così accade anche nel secondo dove Osimhen a porta vuota deposita in rete un cioccolatino di Lozano. È 0-3!

Il nigeriano è meno forte di Cavani, Higuain e Mertes, se si vuole parlare di genetica del calcio, ma rispetto ai tre fenomeni suddetti è il giocatore che condiziona di più le squadre avversarie. La paura con cui preparano il piano gara o sono costretti a cambiarlo in corso è una cosa che raramente si è vista. Perché poi se le avversarie scelgono di togliere agli azzurri la profondità, si portano in area di rigore: Insigne, Zielinski, Lozano, Politano, Ounas, Elmas e anche potenzialmente l’opzione Petagna.

E chi li tiene 4 a scelta così, per 90 minuti, costantemente a 20-30 mt dalla propria porta? Peraltro 5 mezze punte dotate sia di dribbling che di tiro dalla distanza. E infatti alla quindicesima (?) ripartenza, sempre Lozano appoggia a rimorchio palla scorbutica che il trequarti polacco con la sua immensa classe, di mezzo collo esterno, schiaccia in rete manco fosse Michieletto o la Egonu agli Europei di Volley. È 0-4!

4. Mentalità

E poi infine una menzione per Insigne, che pare abbia trasmesso alla squadra la stessa fame e convinzione che aveva l’Italia di Mancini. Si può vincere a dispetto delle griglie di partenza e dei valori individuali assoluti o delle defezioni.

Sembra proprio che l’Italia per una volta abbia restituito qualcosa al Napoli: il dovere di crederci… Partenope è forte! Poi, un conto, è tenere quel tipo di mentalità per 7 partite, un altro è tenerlo per 38… e quindi calma, molta calma.

Massimo Scotto di Santolo

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Udinese – Napoli 0-4: Spalletti e il compromesso storico

Il Napoli brillante, ammirato ad Udine, è frutto di una ricomposizione tattica ed emotiva cesellata da Luciano Spalletti. Il tecnico di Certaldo ha unito la fluidità del gioco ancelottiano ad una identità dogmatica sarrista. Ha mantenuto intatti gli spunti positivi di Gattuso e scartato quelli infondati. Nell’eterna lotta tra i presidenzialisti e gli anti aziendalisti ha pacificato le due fazioni stando dalla parte del pubblico in qualità di uomo della società, alla quale ha saputo prestare carezze e schiaffi con parsimoniosa misura ed intensità. Il risultato è un Napoli consapevole delle proprie forze come mai da tre anni e perfetto, fino ad ora, nel suo cammino. La bellezza di tale perfezione consiste, infatti, proprio nell’aver vinto nonostante i difetti e nel voler vivere senza paura della morte.

1. Il lungo inverno

Ora la creatura di Luciano Spalletti, il Napoli stagione ’21/’22, danza sulla bocca di tutti. Stupefacente la vittoria sul campo della gagliarda Udinese ancora imbattuta in questo inizio di campionato. Attacco azzurro mortifero, gestione della partita encomiabile, difesa impenetrabile. Pur tuttavia, questo Napoli è il risultato di un cammino lungo di cui Spalletti sta raccogliendo i frutti.

All’indomani della fine del sarrismo, tre anni è durato il progetto di rinnovamento. E’ che questo percorso fosse giunto a compimento si era capito già nel girone di ritorno della stagione precedente, quando cioè il Napoli collezionò 43 punti. Si stava chiudendo un cerchio che vide l’ultimo Napoli sopra i 40 punti in un singolo girone di campionato, quello dei primi sei mesi di Ancelotti. Ed era ancora un Napoli profondamente sarriano. Il trend già prima dell’arrivo di Spalletti era in silenziosa e crescente ascesa.

2. I meriti temporanei di Spalletti

Spalletti ha avuto allora il merito di sembrare far brillare una bomba inesplosa. Ha conservato il 4231, imposto come nuovo schema da Ancelotti e ripreso riottosamente anche da Gattuso, ma inserendo varianti a seconda dell’avversario: il Napoli sa interpretare anche il 433 (applicato soprattutto in fase difensiva) e il 3421 (applicato soprattutto in fase offensiva). L’impostazione da dietro alterna, in base al pressing avversario, una linea di difesa a 4 più un solo centrocampista in appoggio ai difensori (4+1, utilizzato proprio ieri ad Udine) o una linea di difesa a 3 più due centrocampisti in appoggio (3+2, utilizzato ad es. contro il Leicester).

Il vero capolavoro “spallettiano” però consiste nell’aver cancellato quelle due categorie che albergavano nell’anima della città: i difensori e gli oppositori di De Laurentiis. Con i secondi ad incensare tutti i professionisti che hanno assunto ruolo contrappositivo alla società nella figura del Presidente. Amatissimi per questo motivo prima Sarri e poi Gattuso. Odiato Ancelotti per qualche esternazione aziendalista di troppo. Intanto spariva il campo dietro pessimismi cosmici dettati da faide intestine al tifo napoletano.

Ora, grazie a Spalletti, pare esista solo il Napoli e le sue prestazioni sul campo. Bisognerà testare più avanti, quando arriverà la bufera, se questo centrismo socialista non verrà rinnegato alla ricerca di scorciatoie: attaccare i calciatori per solleticare lo spirito di chi non crede nella professionalità di un gruppo che ha tradito in passato dirigenza, allenatori e tifosi oppure attaccare la società per non aver rinforzato a dovere la rosa.

3. Udinese – Napoli

Nel frattempo, gli azzurri vincono e convincono. E’ difficile riscontrare difetti nella prestazione andata di scena alla Dacia Arena, casa dei fruliani, a parte i primi 5′ di partenza lenta che pur Il Napoli si è concesso. Poi progressivamente ha sciolto i muscoli e dato sfoggio di sé.

L’idea di Spalletti, per venire facilmente a capo dell’enigma difensivo del tecnico avversario Gotti, consisteva nel disporre la linea a quattro di difesa allo scopo di attrarre sui terzini le due mezz’ali del centrocampo a 3 dell’Udinese. Sovente ha avuto effetto la trappola. E spesso, quindi, i partenopei hanno maturato superiorità in mezzo al campo ma soprattutto isolato i due esterni di attacco contro i quinti della difesa a 5 dell’Udinese.

Ed è li che Gotti voleva vincere la partita e invece l’ha persa. Contromovimento d’Insigne che finge di andare incontro a Mario Rui per poi attaccare la profondità. Il portoghese recapita pallone puntuale per il destro d’Insigne, il quale sfodera pallonetto di enorme precisione che consente ad Osimhen di spingere a porta vuota in rete il pallone dello 0-1.

4. La gestione da squadra finalmente ritrovata grande

Il vantaggio consente al Napoli di aspettare un’Udinese non propriamente abituata a fare la partita. Udinese, peraltro, spaventata dallo spazio alle spalle della propria difesa che Osimhen ha imparato ad attaccare con “discreta” cattiveria. Non a caso i bianconeri perdono completamente il filo del discorso. In questa assenza mentale, il Napoli con sconosciuto cinismo piazza due gol su schemi da calcio da fermo, mandando in rete i due difensori centrali (Rrahmani e Koulibaly).

Ritorna il compromesso storico. Non può essere un caso che dopo tre anni dall’addio di Sarri tornano schemi e geometrie in concomitanza con il rientro di Calzona. Calzona, detto Ciccio, storico vice di Sarri. Molto poco glamour per Londra, Torino e Roma ha portato conoscenze dentro lo staff di Spalletti dopo la pessima esperienza a Cagliari sotto la guida di Di Francesco.

4. Quali differenze con il Napoli del passato?

E però Spalletti è tecnico in grado di affrancarsi da copie carbone ed etichette. Lozano non lo snatura ma se c’è bisogno gioca a sinistra, dove il messicano non gradisce giocare. Hirving segna il quarto gol ed è bellissimo. Così come il Napoli di Spalletti, quasi quanto quello di Sarri ma non per le varianti che per ora ha mostrato.

Questo merito anche di Giuntoli, al cui lavoro il riconoscimento lo fornisce Gotti. Ad oggi, il tecnico dell’Udinese dichiara, è impossibile scegliere come affrontare il Napoli. Ha caratteristiche per le quali sia la difesa bassa che quella alta rappresentano in presenza di Osimhen enigmi decifrabili per la compagine azzurra. Mertens, da questo punto di vista, concedeva più scelta agli avversari sarristi su come preparare la partita. Eppure lo spunto muscolare del belga, all’epoca ancora esplosivo, ha rabberciato tante potenziali lacune.

Quindi, Spalletti pare voglia fondare un Napoli sarrista nel cuore ma ancelottiano nella mente. E con Carlo condivide il feticismo per la fisicità, in virtù della quale è stato assunto il per ora dominante Anguissa; per le varianti tattiche di cui si è detto e per Fabian possibile regista.

5. Spalletti e il compromesso storico

Gattuso aveva raccontato che lo spagnolo davanti alla difesa non poteva giocarci. Ci fu un tripudio generale su quest’affermazione, visto che il maldestro Ancelotti lì insieme ad Allan lo proponeva tra il brusio borbottante di una platea scontenta. Spalletti inizialmente si è fidato di tale convinzione e con Lobotka faceva scivolare Ruiz tra terzino e ala destra. Poi l’infortunio dello slovacco ha aperto le porte della sperimentazione. E Luciano ha compreso che con organizzazione e compagni complementari anche Fabian può dettare tempi e coperture davanti ai due centrali di difesa.

Mentre Spalletti ha ritenuto intoccabile l’intuizione di Gattuso nello schierare Zielinski trequartista. Visione sfuggita sia a Sarri che ad Ancelotti. Eppure non ha svilito, come fatto da Rino, il ruolo di Elmas a ragazzo della primavera aggregato alla prima squadra. E nemmeno confermato la maldicenza, rispetto alla precedente gestione tecnica, che Lobotka non fosse abbastanza professionale e forte per giocare in serie A.

Sembra la sfortunata epopea del compromesso storico teorizzato da Moro e Berlinguer: l’idea di creare, attraverso una posizione temperata, un accordo nell’interesse di tutti. I due leader politici agli antipodi volevano restituire agli italiani un nuovo miracolo economico sostenibile ed etico fondato su principi progressisti comunemente condivisi. Spalletti, invece, vuole ricostituire il diritto di sognare smarrito dai tifosi partenopei. Lo fa agendo, momentaneamente in modo ottimale, da eroe di mondi provenienti dal passato e tra loro fino ad ora scollati. Si spera non intervenga alcun fattore esterno a turbare un equilibrio centrista ma non compromettente.

Massimo Scotto di Santolo

46

Napoli – Juventus 2-1: nessun rimpianto, nessun dolore

Al Diego Armando Maradona di Napoli andava in scena un grande classico del calcio italiano: Napoli contro Juventus. Sud contro Nord. Mai come questa volta, per una serie di contingenze, il Napoli affrontava la sfida oggettivamente da favorito. Luciano Spalletti in conferenza pre partita rigettava abilmente il ruolo del più forte. Molto più importante esserne consapevole e recitarlo nei fatti che nelle parole. Il risultato finale traccia il momentaneo quadro: il Napoli otto punti più forte della Juventus… ma è lunga, ancora lunga.

1. Vecchi fantasmi

Alle 18.00 del Sabato sera è andata in scena al Diego Armando Maradona di Napoli il famigerato vis à vis politico, sociale e sportivo tra Napoli e Juventus. Gli azzurri arrivavano allo scontro diretto da favoriti. Spalletti giustamente rifiutava in conferenza pre partita il ruolo di più forte, poi dimostrato sul campo ma soltanto nel Secondo Tempo.

Infatti, durante l’arco dei primi 45 minuti, il Napoli ha rivisto tutti i vecchi fantasmi che hanno animato le sfide partenopee contro i bianconeri. Dopo un inizio incoraggiante in cui nei primi 5 minuti il Napoli avrebbe avuto l’occasione di segnare il vantaggio al cospetto di una difesa juventina inopinatamente alta e disorganizzata, Manolas ha perso lucidità e attenzione subendo scippo del pallone da Morata. Lo spagnolo così si è potuto involare in solitaria verso la porta azzurra, mal difesa per posizionamento errato da Ospina, e segnare il vantaggio inaspettato della Juventus.

Il Napoli s’irrigidisce, subisce il contraccolpo psicologico dello svantaggio ma anche l’efficacia del piano tattico difensivo e di rimessa di Allegri. Il giro palla partenopeo è lento. La Juventus, con il suo 442 attendista, scivola meravigliosamente sulle fasce impedendo ad Insigne e Politano, eccessivamente prevedibili nel rientrare sul piede forte, di fare la differenza. Colpevole Politano di non puntare e saltare mai il terzino sinistro avversario, Luca Pellegrini, al rientro dopo 6 mesi d’inattività e al 50′ già colpito da crampi.

2. Il Napoli resta vivo

Anche l’uscita palla della Juventus inizialmente convinceva. Si è cercato ripetutamente Bernardeschi per imbeccare la mezz’ala a stelle strisce, Mckennie, molto spesso puntuale tempista nell’attaccare le spalle di Elmas. Impaurito, Spalletti, da questi inserimenti da tergo abbassa il macedone dal ruolo di trequartista a quello di mezz’ala.

Il Napoli chiude il Primo tempo attaccando un 4231 abbastanza ingessato e difendendo 433. Il risultato che ne è conseguito ha comportato una Juventus che per alcuni tratti della prima frazione di gioco ha comandato il filo del discorso. Locatelli, infatti, è risultato libero di agire nella perpendicolare che univa il vertice basso Ruiz a quello alto Osimhen. Dettava tempi e uscite. Trovava, l’ex Sassuolo, infine Kulusevsky alle spalle di Anguissa, mai preso in tempo da Ruiz, come detto, in fase difensiva mediano metodista.

Nonostante il grande sfoggio di cultura tattica compiuto da Allegri, che consolidava la sensazione d’inoffensività del Napoli togliendo completamente la profondità ad Osimhen, la Juventus non raddoppia, neanche prova a farlo. Sicuramente l’assenza di grandi campioni e dell’enclave sudamericana ha inciso sull’istinto killer juventino.

3. Nessun rimpianto, nessun dolore

Il Napoli ha iniziato a costruire la sua vittoria non cedendo alla fretta di trovare immediatamente il pareggio. Il non forzare le giocate e scoprire il fianco ai contropiedi già durante la prima parte della partita ha consentito agli azzurri di rimanere in partita, andare negli spogliatoi per ragionare su come scardinare il muro eretto da Allegri.

Spalletti nel ventre del Maradona riscopre Ounas e rispolvera il 3421 che tante gioie gli ha dato a Roma. In fase difensiva il Napoli si adagia su un 442 che però quando la squadra entra in fase di possesso della palla diventa 3421. Ounas e Politano sulla destra, Insigne e Mario Rui sulla sinistra. Saltano i raddoppi bianconeri. Conseguenza? Dominio del campo partenopeo. Ruiz dall’ombra del primo tempo trova la luce di una regia illuminata nei secondi 45 minuti. Anguissa gli presiede con muscoli e corsa i fianchi.

Il dominio napoletano non si è mai tradotto in grandi occasioni ma il portiere polacco juventino, Sczeszny, colpito da un’acuta “paperite” d’inizio stagione ne combina una delle sue. Perde la maniglia di una sfera calciata innocuamente da Insigne e consente a Politano il tap in vincente. All’85esimo, quando Napoli e Juventus si affrontano, è zona Koulibaly. Il difensore senegalese in zona cesarini ancora una volta diventa protagonista: sfonda la rete su azione da calcio d’angolo, approfittando di una palla lasciata senza padroni a ballare sulla linea della porta.

E’ 2-1 per il Napoli! La Juventus non ha più energie e qualità per organizzare un assedio finale e alza bandiera bianca. Il Napoli si concede un dolce weekend, tirando un grosso sospiro di sollievo: non battere una Juventus così spuntata, incerottata, indebitata… avrebbe potuto rappresentare rimorso difficile da dimenticare.

Massimo Scotto di Santolo

44

Genoa – Napoli 1-2: prima la vittoria e poi Anguissa

Il Napoli si presentava a Marassi per sfidare i rossoblu di Ballardini con tre assenze pesanti: Zielinski, Osimhen e Demme. Il Genoa peraltro si mostrava avversario molto gagliardo per riscattare la brutta sconfitta rimediata in casa dell’Inter. Alla fine Spalletti usufruendo delle uniche due risorse in panchina, Ounas e Petagna, riusciva a vincere un match che sembrava ormai condannato al pareggio. In regalo dalla società la squadra ha ricevuto un centrocampista: Zambo Anguissa, prelevato in prestito oneroso (500 mila euro) con diritto di riscatto in favore del Napoli, il quale contribuerà all’ingaggio del camerunense soltanto al 50%.

1. La squalifica di Osimhen

La trasferta di Marassi immediatamente appariva un bel grattacapo per una serie di circostanze svantaggiose. Il rosso rimediato da Osimhen contro il Venezia costringeva la squadra a pensare un calcio diverso, più cervellotico e sacrificato, dove ognuno dei titolari avrebbe dovuto aumentare la sua verve offensiva e il suo impegno difensivo.

Osimhen con la sua corsa da duecentista diventa un’arma difensiva eccezionale, portando un pressing eccezionale che sgrava i compagni di qualche km da percorrere. E poi dà la soluzione, il nigeriano, della palla lunga non necessariamente precisa dalla quale grazie al suo fisico e alla sua velocità genera contropiedi e occasioni da gol.

2. Insigne falso 9

Il sostituto di Victor, scelto da luciano, è stato individuato nel capitano Lorenzo Insigne, così come nei 70 minuti d’inferiorità numerica contro il Venezia. Insigne però, alla stregua di quanto mostrato in nazionale, non sembra in questo ruolo sentirsi pienamente a suo agio. Ha qualche spunto veramente interessante tagliando alle spalle del difensore centrale di parte secondo dettami zemaniani.

Quando la partita ha richiesto il suo appoggio per sviluppare una manovra palleggiata, la sua incapacità di giocare spalla alla porta e di saper difendere di schiena al difensore la palla ha contribuito alla sofferenza azzurra anche sul piano del gioco.

Infatti, appena il talento di Frattamaggiore è riuscito a decentrarsi sulla sinistra, scambiandosi il ruolo con Lozano, il Napoli ha siglato il vantaggio.

Insigne dal centrosinistra sventaglia per il versante opposto trovando libero Politano. La difesa del Genoa era completamente spostata sul centrosinistra per seguire i movimenti in quella zona di campo di Lozano ed Elmas. Politano stoppa ottimamente e poi serve Fabian Ruiz. Gran finta dello spagnolo che manda al bar l’accorrente Badelij e poi trafigge, con un lento ma preciso tiro a giro all’angolino basso, il fianco sinistro di Sirigu.

Fabian Ruiz come Lozano molto pericolosi in fase offensiva ma fortemente avulsi dal gioco di squadra, incapaci così di contribuire con precisione allo sviluppo della manovra e degnamente alla fase difensiva. Il ritardo di condizione per entrambi sta incidendo gravemente.

3. Il pari del Genoa

Il pareggio del Genoa nasce da una serie di concause di cui il Napoli è sfortunato protagonista. Il centrocampo composto da Lobotka, Ruiz ed Elmas a buoni livelli di A non può reggere più di un’ora. E’ lapalissiano come al Napoli manca un centrocampista che irrobustisca la fase di recupero palla.

Anguissa, che pare essere anche un buon sostegno alla manovra offensiva (in Premier con indosso la maglia del Fulham è risultato terzo per dribbling riusciti), ha le caratteristiche ricercate. Gran fisico (185 cm) che però non inficia un dinamismo notevole. Avrà il compito, Anguissa, di fungere sia da mezz’ala incontrista (es. Allan) che da mediano al fianco di Demme o Lobotka. Il compito, in questo secondo caso, è dare profondità alla prima costruzione e portare sù il pressing (es. Kessiè).

Nel frattempo si segnala tra i mediani azzurri Lobotka. Lo slovacco autentico oggetto del mistero un anno fa sta approfittando di una parvenza di continuità per dimostrare le sue doti di regista. Grande intelligenza tattica che lo rende molto più appariscente in fase difensiva che offensiva. In quest’ultima non è dotato né di grande tecnica che di grande visione di gioco. Ciò non indebolisce un ordine di smistamento del pallone che sembra appartenergli naturalmente.

4. Il pari del Genoa

E infatti la debolezza del centrocampo napoletano progressivamente consegna ai rossoblù il pallino del gioco e conseguentemente attribuisce ai ragazzi di Ballardini coraggio. L’entusiasmo genoano è divampato però al ricorrere di due papere indolori di Meret.

Il portiere friulano si è lasciato sfuggire in presa aerea per due volte il pallone. La seconda volta, tuttavia, Meret perdendo la maniglia della sfera regala all’attaccante del Genoa un tiro a porta vuota. E’ un pareggio momentaneo, perchè il Var annulla per carica al portiere. Giudicato da Di Bello falloso il contatto che Buksa, puntero dei grifone, cerca con Meret.

Alla fine, il Genoa trova comunque il pareggio anche se Manolas e Koulibaly si segnalano per la strenua difesa dei pali adoperata. Mario Rui perde un pallone in uscita. Il Genoa approfitta del suo ritardo in copertura per rifornire Ghiglione, il quale scaraventa uno spiovente sul lato opposto dell’area, dove Di Lorenzo dimentica la marcatura dell’ottimo Cambiaso regalando a lui il gol in modo molto similare a quanto concesso a Shaw nella finale degli Europei.

5. I cambi alla fine decisivi

Spalletti non si demoralizza al pari del Genoa. Era nell’aria e forse preventivabile già alla vigilia il subire almeno un gol. Così schiera prima Ounas e poi Petagna. Il primo vive uno stato di forma straordinario: va al doppio degli altri mantenendo una tecnica in velocità che ricorda il Boga ipervalutato del Sassuolo di De Zerbi.

Nonostante giocate d’applauso e la sensazione che il franco algerino possa deciderla da solo la partita, il suo impiego resta glassa sopra la torta. Quest’ultima architetta e fatta lievitare dal bulldozer Petagna.

Il miglior attaccante di scorta del campionato. Sul procinto di andare via destinazione Sampdoria, anche se trapelano ripensamenti e revirement. Il Napoli farebbe bene a tenerselo, proprio come ha fatto con Ounas. Osimhen andrà in coppa d’africa e Mertens è sul viale del tramonto. Serve una soluzione emergenziale, la quale appartiene endemicamente a Petagna che però legittimamente vorrebbe andare a giocare le sue chances da titolare.

Il bulldozer, dopo aver rassicurato Spalletti nel pre partita sulla sua professionalità benché le voci di mercato impazzassero, entra, spizza sul primo palo un cross proveniente da sinistra di Mario Rui e segna il gol partita, poi strizza quelli che sono divenuti più poeticamente le “huevas” e si scaglia contro il plexiglass in cerca di un impossibile abbraccio del popolo partenopeo sugli spalti.

6. Mario Rui il rissoso

Il gol di Petagna restituisce serenità all’ambiente. Non a caso il Napoli conduce senza patemi la partita, fino al triplice fischio, in vantaggio. L’unico irrequieto è Mario Rui, il quale prima litiga con gli avversari, poi con l’arbitro e infine con Manolas che lo invitava alla calma.

Già ammonito per proteste, il portoghese costringe Spalletti a far esordire J. Jesus al suo posto e a panchinarlo.

E il mercato del Napoli non raggiunge la sufficienza proprio perché per l’ennesima stagione, la quinta consecutiva, l’area tecnica non ha fornito un competitor del ruolo a Mario Rui puntando ancora su un giocatore malmesso e sovente infortunato come Ghoulam. Il terzino algerino, assistito da anni da Mendes, probabilmente ha puntato sulla procura di quest’ultimo per ottenere una indebita permanenza a discapito del culb partenopeo.

Peccato, un terzino sinistro titolare avrebbe trasformato il Napoli in un team molto più competitivo che per il 4 posto: l’obiettivo fissato da De Laurentiis.

Massimo Scotto di Santolo

41

Napoli – Venezia 2-0: tifare il Napoli affatica

Tifare il Napoli affatica: agli azzurri spettava un esordio di campionato comodo e casalingo contro il neopromosso lagunare Venezia. Eppure non è bastato nemmeno il pubblico di nuovo al suo posto, sugli spalti, per rendere facile la pratica. L’intemperanza comportamentale di Osimhen, punita severamente dall’arbitro Aureliano, costringe il Napoli a 70 minuti in inferiorità numerica; durante i quali, tuttavia, i partenopei gestiscono il match con grande tranquillità fino a vincerla senza particolari affanni.

1. Lo schiaffo incriminato

Spalletti per l’esordio allo Stadio Diego Maradona, nuovamente popolato dal pubblico, sceglie una formazione obbligata viste le assenze per infortunio e i buchi di rosa ancora da colmare. Molti occhi su Osimhen, il giovane attaccante nigeriano sembrerebbe rappresentare la chiave di volta del Napoli per tornare in Champions.

Il suo pressing forsennato produce sin da subito applausi e occasioni da gol. Il povero portiere veneziano, Moenppa, pare esser finito in una serata da incubo. E invece il nigeriano all’ennesima provocazione di un difensore della serie A casca nella più classica delle reazioni. Vola uno schiaffo direzione Veneto, ma l’intensità è veramente bassa mentre l’intezionalità di colpire l’avversario si confonde con il tentativo di Osimhen di liberarsi dalla marcatura. Aureliano, in ogni caso, estrae il rosso per il 9 del Napoli. E’ già partita in salita. Il pubblico come la squadra non demorde.

La pendenza sembra irripidirsi ancor di più quando sul finire del 1 tempo il Napoli è costretto a sostituire anche Zielinski per infortunio muscolare. Al suo posto entra il poi decisivo Elmas. Gli azzurri però scelgono di andare con il pilota automatico fino all’intervallo conservando lo 0-0. Ci vogliono parlare sù tra le mura amiche dello spogliatoio.

2. La impeccabile seconda frazione di gioco del Napoli

La seconda frazione di gioco rappresenta un trattato di controllo calcistico. Il Napoli si difende con ordine e non dà mai la sensazione di poter subire l’inferiorità numerica. Si procura due rigori grazie alla spinta dei due terzini. Insigne, tiratore di entrambi i penalty, dall’alto della sua grande personalità, che lo ha reso campione d’europa in maglia Italia, sbaglia il primo ma realizza il secondo. E’ di nuovo festa al Diego Maradona di Napoli.

Elmas, al momento il miglior centrocampista a disposizione di Spalletti, dopo aver dispensato energia e vitalità sulla fascia, sfrutta una scorribanda del subentrato Lozano per chiudere la partita con un fendente sul primo palo che coglie in controtempo il portiere del Venezia. Il Napoli vince ma le circostanze impediscono di poter dire che convince. Dal canto suo, Zanetti, allenatore dei Veneti, si è domandato, come tutti noi del resto, circa il perché la sua squadra abbia scelto l’attendismo speculativo per tutta la partita nonostante gli episodi avessero spianato loro un’autostrada di coraggio ed entusiasmo.

3. I giocatori partenopei

A differenza dei calciatori lagunari spariti sotto il rinculo della propria timidezza, molti partenopei sono riusciti a mettersi in mostra: oltre alla già citata prestazione di encomiabile leadership del capitano Lorenzo il magnifico, Koulibaly ha collezionato almeno due chiusure da pallone d’oro. Migliore in campo il senegalese per concentrazione e impostazione (è stato il vero regista dei partenopei).

Inoltre, menzionabili i 20 minuti di Gaetano, che hanno impressionato per agonismo e concentrazione in una posizione che il talento di Cimitile racconta non essere la sua, quella di regista davanti la difesa. Ambisce alla posizione di trequartista di cui però non sembra avere le necessarie doti di sveltezza.

Ancora: Meret finalmente protagonista di due uscite autorevoli a dare sicurezza al reparto. Di Lorenzo ha mantenuto, invece, la verve europea in virtù della quale si è intestardito nel volersi procurare il secondo calcio di rigore salvando il Napoli da uno 0-0 progressivamente sempre più pericoloso.

E infine meritevole, dopo tante sventure, di citazione Lobotka. Quest’ultimo si è fatto molto gradire in fase interdittiva mentre ha mancato di esuberanza in quella propositiva. Troppe volte ha accettato passivamente la gabbia del pressing centrale avversario.

4. Un capitolo a parte: Elmas

Su Elmas va aggiunta un ulteriore paragrafo a parte: molti parlano non in modo peregrino della sua difficile collocazione tattica. La resa del macedone, nelle due stagioni precedenti, è stata inficiata dalla fiducia che i tecnici durante la stagione gli hanno tolto fino a renderlo evanescente.

Infatti, sia alla prima esperienza napoletana sotto la guida ancelottiana che alla seconda alle dipendenze di Gattuso, Elijf ha avuto ottime partenze facendo presagire exploit poi risultati disinnescati.

E a volerla dire tutta anche a questo giro, per chi ha visto le amichevoli di precampionato, il diamante è risultato il centrocampista più in forma. Pur tuttavia, Spalletti – che pure a suo dire lo ritiene fortissimo in quanto ritiene che la multidimensionalità di Elmas non lo regredirebbe in apolide bensì lo eleverebbe ad eclettico istrione – gli ha preferito Fabian (in evidente ritardo di condizione).

Questo ha di sicuro compassato la manovra del Napoli nel primo tempo al netto dell’espulsione di Osimhen e dell’infortunio di Zielinski. Ha prodotto però la possibilità di girare in modo esplosivo, nella seconda parte di gara, l’esito dell’incontro proprio grazie al programmato inserimento del macedone.

La straripanza atletica di una mezz’ala, quale Elmas, con i piedi del trequarti, le frequenze atletiche dell’ala e l’orgoglio cocciuto di un incontrista hanno consentito di riempire la partita di tutti quei dettagli intrisi di lotta e caparbietà che hanno poi permesso al Napoli di prendersi i suoi primi 3 punti del campionato 2021/2022.

Massimo Scotto di Santolo

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