Manchester City-Liverpool non è stata semplicemente una grande partita. E’ stata anche la prova della consapevolezza che Guardiola e Klopp hanno dello spessore dell’altro. E di come le grandezze di questi due allenatori si intersechino e si influenzino a vicenda. La vittoria di misura del Manchester City riapre i giochi per la corsa alla Premier League. E pone fine all’imbattibilità del Liverpool di Klopp dopo 20 partite. Allo stesso modo di come lo scorso anno i Reds avevano invece interrotto la striscia del City.
Sta diventando sempre più semplice abituarsi all’idea di dover definire le sfide tra le squadre di Guardiola e quelle di Klopp delle vere e proprie battaglie tattiche. Il rispetto e il timore delle capacità dell’avversario sono ormai ben visibili sul campo. E l’importanza che acquisiscono i dettagli nella direzione delle partite è superiore a quella che noi siamo disposti ad accettare. A maggior ragione se poi consideriamo il peso della partita in sé e le conseguenze che esiti diversi avrebbero portato. Nell’economia dei novanta minuti, il pareggio sarebbe forse stato il risultato più giusto. L’equilibrio complessivo sempre sul filo del rasoio e con fasi alterne di conduzione del gioco ha prodotto alla fine lo stesso numero di tiri in porta. La splendida azione che ha portato al palo di Manè e al clamoroso salvataggio di Stones è stata però il manifesto della direzione che la partita avrebbe poi preso. Gli errori da matita blu di Lovren hanno poi fatto il resto.
Si può discutere con il senno di poi la scelta di Klopp di ritornare per l’occasione al 4-3-3. Accantonando per la partita in questione il nuovo sistema rinvenuto quest’anno. Ovvero quello con il doppio mediano e Fabinho in pianta stabile e i quattro giocatori offensivi. Con l’ingresso di Shaqiri quasi in pianta stabile, Firmino rifinitore e Salah centravanti. Klopp, probabilmente contando sul fatto di avere a disposizione due risultati su tre, ha optato per un centrocampo più aggressivo senza palla. Volto a soffocare la fluidità della manovra di una squadra che avrebbe dovuto necessariamente giocare per vincere. Per poi ripartire con regolarità. La bellezza data dalla verticalità dell’azione che ha portato al palo di Manè è raggiante. E il salvataggio incredibile sulla linea di Stones dopo il pasticcio con Ederson ha forse impedito al piano gara di Klopp di mettere la freccia per la nona volta in sedici confronti diretti tra i due allenatori.
Ma tornando a parlare dell’influenza reciproca dei princìpi di gioco dei due allenatori, va sottolineato questo. Considerato lo score a favore di Klopp e le dinamiche interne delle due gare di quest’anno, la sensazione è che il tecnico ad aver studiato quasi ossessivamente sia stato Guardiola. Coerentemente con la sua maniacalità. Dapprima rinunciando quasi al dominio del pallone nello 0-0 di Anfield. E in seguito andando a mille all’ora nella partita di giovedì. Affrontando quindi coraggiosamente Klopp utilizzando le sue stesse armi. Bernardo Silva sarà al termine della gara il giocatore ad aver percorso più chilometri in Premier League quest’anno in una singola partita.
E alla bellezza e all’emozione del confronto hanno certamente contribuito anche le controrisposte di Klopp, che non sono mancate. I Reds quest’anno sono una squadra molto più quadrata, in grado di gestire i ritmi delle partite senza perdere l’intensità e la verticalità nei momenti chiave. In grado di risalire il campo in maniera sempre diretta ma anche più lucida e ragionata. E’ forse questo il compromesso che ha permesso agli uomini di Klopp di perdere per la prima volta alla ventunesima partita. Dopo aver vinto in diciassette occasioni. L’immagine è quella di una squadra che ha l’intensità e la verticalità nel sangue. Ma la cui consapevolezza di aver raggiunto uno status superiore ha portato a capire di dover razionare le energie. Per poter trovare forse l’unica cosa che mancava, la continuità.
E le controrisposte in questi termini sono arrivate anche in questa partita ovviamente. Ma abbiamo già detto quanto siano importanti i dettagli. E gli errori individuali di Lovren non erano ieri una sorpresa e non lo sono certo oggi. In occasione di entrambi i gol del City sono state decisive in negativo le sue letture. Facendosi anticipare nettamente da Aguero prima, e occupando la posizione sbagliata poi, mettendo in crisi l’intero reparto. Certo è che con gli infortuni del titolare Joe Gomez e di Matip, soluzioni alternative per Klopp non sembravano esserci.
Le prestazioni individuali della squadra di Guardiola sono state di altissimo livello. Fernandinho è stato un gigante e ha dimostrato per l’ennesima volta di essere la chiave di volta insostituibile per i meccanismi di equilibrio del Manchester City. La prova atletica, prima ancora che tecnica, di Bernardo Silva, è stata sontuosa. Quella di Aguero in qualità di attaccante moderno fantastica. E lo stesso dicasi per quella di Laporte, che oltre a bloccare Salah quasi alla perfezione ha avuto anche la forza e l’intelligenza di fare il terzino puro. Per quanto riguarda Sanè, le sue doti atletiche, aerobiche e tecniche e la loro capacità di coesistere meriterebbero sempre una menzione a parte. E il suo gol del 2-1 è un colpo da biliardo, imparabile anche per Alisson.
Siamo stati costretti nelle settimane scorse a dover leggere di un Klopp associato alla dea bendata come se fosse una colpa. Come se poi dietro qualunque tipo di successo vi sia alla base l’assoluta perfezione. Come se poi l’andamento e la direzione di alcuni momenti non abbiano mai contribuito in positivo o in negativo nella storia dei trionfi e delle vittorie. Dichiarazioni forse poco lucide, macchiate da fanatismi forse inconsapevoli ma forti. Che dimostrano di non conoscere la storia di un allenatore che ha invece sempre pagato per i suoi errori, restando comunque in credito con la fortuna da anni. Diversamente, la sua storia dei momenti topici avrebbe meritato di non essere questa.
Abbiamo letto di un Liverpool in calo per il fatto di aver perso meritatamente le tre trasferte nel girone di Champions. Senza magari considerare il fatto che, dopo la finale dello scorso anno, sia emersa forse in quelle circostanze anche la volontà di rivolgere la testa e le energie ad un campionato che manca dal 1990. Anche perché in tutte e tre le occasioni fu un Liverpool troppo brutto per poter essere definito semplicemente in giornata no. Di fronte invece al passaggio del turno meritato o meno, il discorso può anche starci. Ma la consapevolezza europea del Napoli di quest’anno non può essere macchiata di certo per una sola partita persa meritatamente, contro un avversario che ha sfortunatamente per gli azzurri giocato come sa.
La Premier League può in ogni caso dirsi riaperta. Il Liverpool è sempre in testa a quota 54, il City ha ridotto le distanze a quattro lunghezze, mentre il Tottenham, con i suoi 48 punti, è sempre lì. In un momento di forma smagliante. E senza aver speso un centesimo nella sessione estiva di mercato. Lo scorso anno, come detto, il Liverpool pose fine all’imbattibilità del City, ma la squadra di Guardiola continuò a dominare e vinse comunque il campionato. Questo per Klopp è l’anno della verità. Entrare definitivamente nella forma mentis di squadra che deve essere rincorsa e non che deve rincorrere. Proseguire il cammino con la stessa consapevolezza allontanando qualsiasi tipo di contraccolpo. Il confine tra la vittoria e la sconfitta alla fine del campionato è sottilissimo. Sia per quanto riguarda il suo status di allenatore che per quanto riguarda la storia del Liverpool.
Gioacchino Piedimonte
