Il Napoli domina territorialmente il Parma ma perde il match. Quanto sarebbe stato utile avere già in rosa Victor Osimhen?
1. Gattuso: Cadorna o Diaz?
Di Rino non si hanno ancora chiare le abilità strategiche. All’inizio della sua avventura partenopea ha mostrato tanta garra ma poca scaltrezza. Ingenuamente credette come un bimbo in Babbo Natale di poter riaccendere il software sarrista per eliminare le score ancelottiane. Le sconfitte contro Parma, Inter e Fiorentina lo riportarono ben presto sulla terra, sebbene egli ci fosse già.
Infatti Rino sin da subito ha allestito una preparazione atletica ben diversa da quella del suo predecessore. Le gambe ingessate degli azzurri nell’immediato contribuirono a determinare il ciclo di sconfitte iniziali; sul lungo però il Napoli ha potuto godere di antiche sensazioni muscolari positive, che hanno contribuito alla risalita della squadra e che solo l’organizzazione calcistica post covid poi ha purtroppo opacizzato.
La Caporetto divenne, dopo un mese dall’avvento di Gattuso, un’orgogliosa resistenza sul Piave. Come il fronte approntato da Diaz, anche lo spazio da coprire per il Napoli si ridusse, quando in particolare Gattuso decise di abbassare il baricentro del team e avvicinare a ciascun protagonista azzurro in campo la spalla del compagno in aiuto. Agli avversari venivano concesse solo le corsie laterali. L’onda lunga di questo nuovo moto tattico e di un umore delle truppe migliorato ha consentito a Gattuso di stregare tre delle quattro migliori della classe e vincere il suo primo trofeo, la Coppa Italia.
La raggiunta qualificazione all’Europa League per la porta di servizio – la vittoria della Coppa nazionale -, l’impossibilità di raggiungere la Champions per il distacco accumulato in classifica e infine l’ineluttabile gol da dover segnare al Camp Nou hanno portato lo staff tecnico partenopeo a sperimentare nuove soluzioni. Baricentro più alto e dominio territoriale del campo. Atteggiamento calcistico conforme al credo dei senatori del gruppo storico del Napoli. I risultati sono stati inizialmente buoni ma la mancanza di motivazioni verso la fine del campionato e qualche incongruenza tattica di troppo hanno intorpidito l’entusiasmo della piazza intorno al tecnico calabrese.
2. Parma-Napoli 2-1
Parma-Napoli, in tal senso, perplime. Il Napoli, non dotato per infortunio di Mertens e per squalifica di Milik di punta centrale di ruolo, schiera al Tardini tre piccoletti agili e veloci. Politano, Insigne e Lozano. Nessuno può però ricoprire il ruolo della prima punta. Lo si può apprezzare dal solletico inferto dagli avanti del Napoli alla difesa ducale. La presenza di Allan non ha inoltre aiutato i principi offensivi da sviluppare.
La domanda sorge spontanea: perché il Napoli non ha giocato in contropiede avendo dalla sua gli uomini per farlo? A Barcellona mica bisognerà solo attaccare… in ogni caso si assisterà ad un dominio blaugrana. Quello napoletano sarà interstiziale. Anche a livello gestionale, sacrificare all’altare della gogna mediatica il messicano Lozano pressandolo a svolgere un ruolo non suo non è apparsa mossa congeniale se non a velocizzare la sua cessione. Rinvigorito poi el chucky sulla fascia destra, è stato alla fine comunque sostituito.
3. The humble Victor Osimhen
Ed è in questa manfrina scacchistica che il nuovo ufficioso acquisto del Napoli, Victor Osimhen, cade a faguiolo. Gattuso non disprezza il calcio di contropiede, anzi talvolta lo predilige ed è anche al momento la sua espressione offensivista migliore. Tuttavia, con Mertens o Petagna (similare per caratteristiche a Milik) e Insigne si fa fatica a risalire il campo. Osimhen è un ragazzo nigeriano di 1.85, longilineo ma non elegante, caratterizzato in campo aperto da una discreta velocità di piedi nell’1 contro 1 e di una falcata incredibile sul lungo. Si muove su tutto il fronte d’attacco consentendo ai suoi colleghi di difesa e centrocampo, quando sotto pressione, di sbarazzarsi del pallone.
Se la palla rimane in campo, Victor tende a raccattare la sfera cestinata nella pattumiera del rettangolo di gioco per poi custodirla gelosamente, a costo di risultare goffo. Tante volte Osimhen ha pensato potessere essere l’ultima di occasione della propria vita. Lo ha pensato quando disperato non trovava le scarpe per giocare al calcio tra gli ammassi della discarica adiacente casa sua; oppure allorché sfiancato si dimenava per rivendere buste d’acqua. Il ventiduenne nigeriano in questione è un presenzialista affamato. Anche il suo modo di comportarsi sul mercato ha avuto una linea bisettrice, cioè quella di non bruciare le tappe e farsi coccolare da una crescita lenta e graduale. Costruire una carriera stellare, verosimilmente già proiettata tra cinque anni oltre Napoli, su fondamenta concrete.
Tale approccio alla professione fa di lui un perfetto arciere da contrattacco in uno schieramento difensivo ma attenzione, ben più di Andrea Petagna, che spesso vezzeggia più da stilista che da bomber, Osimhen ha l’apprezzabile ardore del guerriero dell’area di rigore. Ricerca il gol in modo erculeo. Le legis artis della materia pare le abbia accantonate. Dovrà comunque riprenderle. Ricorda, in definitiva, non per grazia e fiuto esiziale del gol ma per caratteristiche atletiche e aerobiche Cavani. Osimhen fa le fusa, invece, per il suo piacere a decentrarsi sulle fasce e cercare il mismatch fisico con il terzino avversario e anche per la faciltà con cui calamita palloni sostando in area di rigore, Mario Mandzukic.
4. Un vento che porta pioggia
Il rapporto con la porta avversaria è, infine, tempestoso e brutale. Non tira, scaraventa. Saccheggia piuttosto che stoppare. Non gonfia, brucia la rete. Il portiere è un ostacolo da abbattere.
Questo suo risultare centrifuga parafrastica di campioni della nostra epoca lo adibisce per il Napoli, molto di più di Mertens, ad opzione per ogni strategia calcistica. Contro il Parma le sue doti atletiche che gli consentono di saltare finanche a un metro da terra avrebbero potuto sparigliare la semplice architettura difensivista di D’Aversa.
Eppure teoricamente, come un vento caldo, non ci sarebbe che stare lì ad aspettare che si abbatta sulle nostre terre. Nessuna preoccupazione. Siccome il nigeriano però non gode di scores statistici ragguardevoli ed evidenzi già da brevi estratti video su Youtube la trascuratezza del gesto tecnico e la poca predisposizione a fraseggiare nello stretto con i compagni, il suo funzionale eclettismo per il Napoli ad oggi è il piatto della bilancia che costringe a rimandare ogni giudizio. In realtà la tara tra pregi e difetti ci potrebbe suggerire anche l’ipotesi di un Osimhen che non becca mai il pallone, impreparato com’è alle universitarie difese italiane e alle trame che il Napoli tende a tessere prima di realizzare un gol.
5. Quanto Victor c’è (e quanto ce ne sarà)?
Ignora al momento, l’umile Victor, quali siano i movimenti per fulminare i difensori della serie A ma ha la fisicità per metterli in difficoltà sin da subito. Le fondamenta tecniche lo rendono un attaccante avulso da un’offensività corale ma vanta l’associazionismo della vittoria. Osimhen forse vive più per quest’ultima che per il gol in sé per sé.
Allora la soluzione di tenere Petagna in rosa è un ottimo modo per poter aspettare Osimhen e allo stesso tempo avere un’alternativa già pronta che seppure meno prodiga al feticcio della rete ha peculiarità mediane tra Mertens e Osimhen. La faccia tirata dalla rabbia agonistica che spesso impersonifica il nigeriano nelle foto rintracciabili sul web è la garanzia pro futuro del Napoli. Quei fondamentali del calcio abbandonati per lasciare velocemente la profonda baraccopoli di Lagos il punto interrogativo di questa avventura che ADL ha deciso di pagare 50 milioni di euro di cartellino più 3.5 mln € per 5 anni di stipendio al ragazzo.
Massimo Scotto di Santolo
