L’allenatore Boemo, Zdenek Zeman, è stato raggiunto telefonicamente da ForzaPalermo.it.
A quasi 72 anni forse resta ancora lui una speranza per il nostro calcio, che ormai non è un bello spettacolo da valere il prezzo delle pay tv. Un calcio senza passione afferma Zeman, ma ancora il coraggio di provare a rimettersi in gioco e infettare l’ambiente con la passione di migliorarsi. Ecco l’intervista integrale rilasciata a ForzaPalermo.it
Iniziamo dai primi passi in Sicilia.
«E’ vero, ho iniziato nel settore giovanile del Palermo – esordisce Zeman a ForzaPalermo.it – dove ho fatto nove anni. Poi la società non ha creduto più nel settore giovanile anche se – in quel periodo – nove, dieci ragazzi sono stati utilizzati in prima squadra».
Che ricordi ha di Palermo?
«Ho vissuto tanti anni nel capoluogo siciliano, sono rimasto legato. Sono stato molto vicino a sedere sulla panchina rosanero, mi pare nel 1982. Purtroppo ero squalificato per una partita con la Primavera e quindi non sono potuto andare, così hanno scelto un altro allenatore».
Gli anni a Foggia, nasce Zemanlandia.
«A Foggia abbiamo fatto bene grazie alla società che ha lasciato lavorare me e il direttore sportivo. Abbiamo scelto ragazzi giovani di prospettiva: il primoanno è stato sofferto, però il secondo – con i ragazzi che avevano fatto esperienza e acquisito certe esperienze – abbiamo vinto il campionato di serie B».
Poi che cosa è successo?
«In A c’era grande motivazione per fare bene. Purtroppo dopo la primastagione nella massima serie la squadra è stata smembrata perché nel calciocontano i soldi. Siamo ripartiti da capo, con ragazzi che provenivanodall’interregionale o dalla serie C. Nonostante questo hanno dato tutto e mi hanno seguito perfettamente: infatti abbiamo disputato due buone stagioni».
Com’è cambiato il calcio in questi anni?
«Rispetto a quando ho iniziato il mondo del calcio è cambiato. Sia in senso positivo, sia in negativo: attualmente quello che manca di più alle società e ai calciatori è la passione. Molte volte quello che fanno sembra fatto quasi perché lo devono fare: una volta c’era la passione, ai giocatoripiaceva giocare a calcio. Oggi calciatori e società pensano di più al businessche a formare una squadra con un futuro».
Quindi?
«E’ un po’ più difficile lavorare. Per me il calcio è sport: ci vuole la voglia di migliorarsi sul campo ogni giorno in allenamento e questo – negli ultimi tempi – mi mancava».
In definitiva, sarebbe pronto a tornare in panchina?
«Bisognerebbe fare delle valutazioni. Io sono pronto ad allenare, però non sono pronte le società: forse si spaventano che li faccio lavorare (sorride ndr)».
